Abitare con il cuore la città

Estela è una missionaria brasiliana che vive a Roma e lavora presso la Caritas diocesana, in un progetto che offre un servizio gratuito di psicoterapia a migranti e rifugiati, vittime di tortura e violenza.

«Abitare con il cuore la città»: è l’invito che Papa Francesco rivolge a tutta la Diocesi di Roma nell’anno pastorale 2019-2020. Il tema è tratto dal libro dell’Esodo 3,1-15, dove Dio invita a scendere con Lui, in mezzo alla città, per ascoltare il grido dei suoi abitanti e per aprire loro cammini di liberazione.

Ed è proprio nella città che ho potuto incontrare una donna rifugiata, della Guinea Conakry. Cercava lavoro perché desiderava portare in Italia i suoi due gemelli che erano ancora nel paese di origine.

Un giorno si è presentata alla Caritas, improvvisamente, sbattendo la porta. Ha lanciato un forte grido ed è entrata di corsa in segreteria, mi ha abbracciato, stringendomi e continuando a gridare nella sua lingua. Ad un certo punto è riuscita ad esprimersi in italiano raccontando cosa le era successo: «Mio figlio è morto!!». Ed ha ripreso a gridare e a piangere. Sono rimasta lì insieme a lei, in silenzio ma vicina.

Quella persona, immersa nel dolore della perdita del figlio, abbracciata a me mi passava direttamente le sue vibrazioni, anche fisiche, di dolore e di sofferenza. Io, personalmente, non vivrò mai l’esperienza della morte di un figlio, ma in quel momento quella signora mi ha insegnato e mi ha fatto sentire qualcosa del suo dolore viscerale, profondo. Questo dolore in un certo modo mi ha preparato e portato ad una comprensione più profonda della sofferenza umana.

Ricordo anche un migrante del Togo, che ha attraversato il deserto e il Mediterraneo, fino ad arrivare in Italia. Nell’ultimo tratto del viaggio, il barcone purtroppo si è ribaltato e lui è rimasto in acqua per circa otto ore, insieme ad altri. Pochi sono sopravvissuti.

Ad un certo punto, ha avvistato una barca di pescatori che hanno lanciato una corda verso di lui. Ma, a motivo dell’ipotermia e della stanchezza, si è accorto che non aveva più forze e non riusciva a stringerla per farsi trascinare… Per un momento si è disperato. Uno dei pescatori ha visto la sua difficoltà e subito si è buttato in acqua e lo ha abbracciato da dietro per portarlo sulla barca. Il migrante ci ha raccontato che, quando ha sentito queste braccia attorno a sé, si è finalmente rilassato ed ha perso conoscenza. Si è risvegliato soltanto quando era già in ospedale. Per questo non sa chi sia stato l’uomo che l’ha salvato, ma, nel suo cuore, è nata una profonda gratitudine. Quando è arrivato a Roma, ha dovuto dormire per strada, per sei mesi circa, in mezzo ai cartoni. Nonostante questa e tante altre difficoltà, ha continuato ad essere grato e ad affermare che gli italiani sono accoglienti e che sentiva di dover, al più presto, imparare bene la lingua e anche un mestiere, per poi poter lavorare e dare il suo apporto alla società che l’ha accolto.

Si tratta di due storie di migranti, tra i tanti che ho conosciuto. Ogni volta che li ascolto mi rendo conto che siamo chiamati ad incontrare ogni persona con profonda stima, perché ognuno è prima di tutto amato e stimato da Dio. Non possiamo fermarci ad un possibile iniziale istinto di commiserazione nei confronti dei più poveri, ma piuttosto dobbiamo chiederci perché nel Vangelo Gesù li chiama beati.

È necessario continuamente raffinare l’ascolto e la contemplazione. La presenza del migrante, dello straniero, è fermento di trasformazione, è uno stimolo che ci provoca all’accoglienza, all’apertura verso l’altro, all’incontro.

Partire da Gesù, Verbo Incarnato, ci permette di non fuggire dai problemi sociali e umani, ma di entrarvi con Lui, per scoprire che sono già visitati dalla salvezza, così che, avvicinandoci agli ultimi, ci avviciniamo a Dio stesso. La spiritualità scalabriniana ci rimanda sempre alla centralità di Gesù Cristo, riconosciuto e accolto nei migranti: «Ero straniero e tu mi hai accolto» (Mt 25, 35).

««Beati voi, poveri» (Lc 6,20). Il senso di questo annuncio paradossale è che proprio ai poveri appartiene il Regno di Dio, perché sono nella condizione di riceverlo. […] Gesù, che ha inaugurato il suo Regno ponendo i poveri al centro, vuole dirci proprio questo: Lui ha inaugurato, ma ha affidato a noi, suoi discepoli, il compito di portarlo avanti» (Messaggio di Papa Francesco, III Giornata Mondiale dei Poveri).

Estela Camillo da Silva

Chiesa cattolica svizzera

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