In una settimana contrassegnata dal rocambolesco «giallo» del libro scritto dal cardinale Robert Sarah che lo stesso porporato ha attribuito in qualità di coautore a Ratzinger, provocando la reazione di quest’ultimo costretto dal malinteso a dissociarsi pubblicamente da questo ruolo stampato in copertina al volume, ma confermando la paternità di un testo pubblicato nello stesso libro, è passata quasi sotto silenzio la vera e propria novità avvenuta tra le mura vaticane: la nomina da parte di papa Francesco di una donna nella cabina di regia della Segreteria di Stato. L’evento è decisamente rivoluzionario se si pensa che la signora in questione, la dottoressa Francesca Di Giovanni, di formazione giurista, è diventata sottosegretario per il settore multilaterale della sezione per i rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato, cioè il ministero degli esteri vaticano. Fin qui niente di clamoroso, non è infatti la prima volta che una donna riceve la nomina a sottosegretario in un dicastero vaticano, ma la novità sta nel fatto che è la prima volta che a questa nomina corrisponde, se necessario, su determinate materie in campo diplomatico, un’autorità sui nunzi apostolici che sono vescovi. Quello della Di Giovanni è il ruolo più alto occupato fino ad oggi da una donna nei Sacri Palazzi. Insomma, nella settimana del «giallo» vaticano arriva un concreto tocco di «rosa» che, speriamo, sia di buon auspicio per quel ripensamento che il Papa, in primis, auspica della presenza femminile nei vari piani della Curia romana. L’importante è in questo, come in altri casi di nomine di donne, che i puntini siano ben messi sulle i. Non stiamo infatti parlando di quote rosa, ma di ben altro. Se è vero, infatti, che il Papa, (che – a scanso di ogni eventuale equivoco – nella Chiesa cattolica «è uno solo» ed in questo l’emerito Ratzinger e Bergoglio sono d’accordo con tanto di dichiarazioni pubbliche, purtroppo non scontate per tutti all’epoca del falso mito dei «due papi»), non più tardi del 1. gennaio scorso, ha affermato che la donna «va pienamente associata ai processi decisionali», perché «quando le donne possono trasmettere i loro doni, il mondo si ritrova più unito e più in pace». La strada è quella quindi del riconoscimento senza paure di competenze qualificate a livelli diversi: intellettuali, organizzativi, diplomatici, comunicativi e via dicendo. Questa è infatti l’unica e realmente dignitosa integrazione possibile del «genio femminile » nella comunità ecclesiale: in quanto «genio» riconosciuto, a partire dalle specifiche competenze acquisite da donne che sono all’altezza per ricoprire gli uffici loro possibili nella Curia romana e, più in generale, nella Chiesa. L’importante è pensare a qualsiasi «nomina» nella Chiesa ed in particolare nella Curia romana, anche quelle femminili auspicate dai recenti pontefici e che si stanno progressivamente attuando, usando come chiavi di lettura le parole evangeliche «talento», «servizio» e «comunione»: i talenti (le competenze) sono dati per esercitare un servizio (la nomina) a vantaggio della comunione (comunità ecclesiale).
Chiesa cattolica svizzera
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