Commento al Vangelo della II Domenica d'Avvento

Calendario romano: Luca 1, 26-38

Se, al giorno d’oggi, qualcuno vi accusa di predicare nel deserto è molto probabile che intenda che i vostri sforzi sarebbero destinati a disperdersi nell’indifferenza generale. L’espressione deriva dal latino vox clamantis in deserto e la troviamo in diversi vangeli, ma il suo significato originale è altro da quello che, nel tempo, ha acquisito nell’uso comune. Nel brano scelto per questa domenica, infatti, incontriamo un Giovanni Battista che predica nel deserto con ben altri esiti, facendo accorrere tantissime persone da tutta la Giudea a farsi battezzare. «Giovanni è un precursore: è lui a preparare la strada all’arrivo di Gesù, il Salvatore ». Sono le prime parole di madre Maria Sofia Cichetti, badessa del monastero benedettino di Santa Maria Assunta a Claro. Assieme a Dante Balbo commenta, per il «Vangelo in casa», anche questa seconda domenica dell’Avvento, di fronte alle telecamere di Caritas Ticino. «Il messaggio che porta con sé è incisivo, e condito di una certa modernità: la conversione. Un cambiamento di direzione, ma verso il meglio, verso una vita vissuta in pienezza, in comunione con Dio e con i fratelli ». Per suor Maria, la conversione passa attraverso la penitenza: «Ognuno nel quotidiano ha il suo deserto, momenti di solitudine dove riscoprire la presenza di Dio e avvicinarsi a lui». Dante Balbo aggiunge che il concetto di penitenza, oggi, è spesso considerato fuori moda. «In realtà – prosegue la religiosa – capita un pò a tutti di accettare delle rinunce per ottenere un risultato più grande. In questo caso l’obiettivo è nobile: aprirsi all’altro, scegliere di togliere priorità ai propri bisogni personali. L’egocentrismo ci porta a chiuderci in noi stessi, nell’illusione di essere al sicuro. Ma in realtà fuori da quell’involucro ci attende qualcosa di più importante: l’incontro con Dio».

Cristiano Proia, Dalla rubrica televisiva Il Vangelo in casa di Caritas Ticino in onda su TeleTicino e online su YouTube

Calenadario ambrosiano: Matteo 21, 1-9

L’ingresso di Gesù in Gerusalemme è come una vera e propria rappresentazione di questo tempo di Avvento, tempo del venire di Dio in mezzo a noi. Ai molti titoli che possiamo adoperare per indicare Gesù oggi possiamo aggiungere: il Veniente, Gesù Colui che viene. E noi siamo un popolo che attende, perché Qualcuno viene. Non misuriamo forse il tempo a partire dalla sua venuta? Proprio perché il Signore è venuto noi siamo uomini e donne di memoria, chiamati a custodire e trasmettere una memoria. Le parole della fede noi le abbiamo ricevute da altri che prima di noi le hanno ricevute e custodite e trasmesse. Ma non siamo solo uomini e donne di memoria, chiamati a custodire e trasmettere quanto abbiamo ricevuto. Il Signore che è già venuto è atteso e noi viviamo nell’attesa della sua venuta. Per questo il cristiano non è solo chiamato a custodire e conservare il passato, la memoria ma anche ad aprirsi al futuro, al nuovo. Niente è tanto distante dallo stile di Avvento quanto il rassegnato pessimismo di chi dice: «Niente di nuovo sotto il sole». Il Signore viene, il tempo non è ancora definitivamente concluso, noi non siamo chiamati solo a ripetere il passato ma siamo chiamati ad aprirci a colui che viene, alla sua novità. L’evangelo di questa domenica annuncia la venuta del Signore nella città, a Gerusalemme dove entra non a cavallo, cavalcatura propria della guerra, ma in groppa ad un asino. Viene nella città perché la sua parola che è certo anzitutto rivolta alla coscienza e alla libertà di ogni uomo è altresì una parola per la città, per la convivenza civile. Quando la Chiesa alza la sua voce a difesa dei soggetti più deboli della società, contro la precarietà del lavoro, per il rispetto della dignità di ogni uomo senza discriminazioni, è fedele al suo Signore venuto nella città e per la città. E viene sull’asino. Oggi questo asino è la Chiesa. E’ lei che porta Gesù ma in verità è Lui, il Signore, che la porta e la sostiene.

Don Giuseppe Grampa

Chiesa cattolica svizzera

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