La Chiesa non lascia la mano del malato ma ribadisce il «no» al suicidio assistito. Il commento di fra Michele Ravetta al documento dei vescovi svizzeri

Attraverso una chiara e lineare posizione in favore della vita, la Conferenza dei Vescovi svizzeri ha presentato giovedì un documento pensato per gli operatori pastorali (e non solo) confrontati con il delicato tema del fine vita e della morte assistita. La lettura della versione breve del documento è già di per sé densa di valore profetico riguardo alla sacralità della vita umana, valore già iscritto da Dio in ogni creatura da Lui voluta ed amata, valore perfezionato nel sacrificio di Cristo sulla croce, il quale non ha rinnegato la paura della sofferenza e della morte ma, attraverso la sua fiducia in Dio, ha santificato la vita che soffre attraverso la sua stessa morte redentrice. I Vescovi svizzeri non si limitano a condannare la «facile» via dell’eutanasia ma affermano con ferma chiarezza che la vita è sacra anche quando quest’ultima è segnata dalla fatica del vivere, fatica che ha il volto dell’anzianità, della malattia, della solitudine. Già il 4 giugno 2002 la medesima Conferenza aveva pubblicato un documento dal titolo emblematico: «Morire con dignità»; oggi, dalle pagine del documento a noi contemporaneo, si sottolinea nuovamente che la morte non è un evento da subire ma da vivere. Non siamo di fronte ad un testo edulcorato sui problemi della società moderna – l’analisi fatta è estremamente lucida e coerente! – ma indica con coraggio la direzione ed è proprio questo stile profetico che la Chiesa esprime attraverso la pastorale sanitaria. Le cure palliative costituiscono la risposta credibile ed efficace al problema semplicistico offerto dell’eutanasia: le cure palliative accompagnano dignitosamente al fine vita, mentre l’eutanasia uccide. La dottrina già espressa a suo tempo da Pio XII e ribadita con forza dal Catechismo della Chiesa Cattolica non delude: la vita è sacra fino al suo compimento naturale e l’uomo – con la sua libertà – non ne è proprietario ma amministratore. Il suicidio assistito non risulta essere una soluzione ma un lancio senza paracadute, e non solo per il morente ma anche per i familiari che assistono impotenti all’evento mortifero. Se prendiamo in esame il fatto che prima dell’assunzione del farmaco mortale venga somministrato un medicamento che impedisca il vomito, come si può ragionevolmente parlare di «dolce morte»? Se il libero pensiero si può spingere fino a dichiarare che la libertà soggettiva è fare ciò che si vuole, la libertà oggettiva mette più di un limite. I Vescovi esprimono al meglio le tensioni interiori che l’assistente pastorale potrebbe vivere: ha senso dare i sacramenti della vita ad una persona che ha deciso di morire? E’ appropriato restare nella stanza mentre la persona si suicida? Restare o andare…? Andare non significa abbandonare! I sacramenti sono dati con discernimento a sostegno della vulnerabilità e fragilità del malato, il suo bisogno di speranza viene preso a carico dal Cristo – uomo dei dolori – attraverso la sollecitudine pastorale della Chiesa e poiché ogni vita umana è in cammino verso la morte, la Chiesa non abbandona la mano del sofferente ma gli resta accanto, affermando che anche la malattia ed il declino hanno un profondo valore salvifico. Il documento fa leva su sette parole fondamentali: delicatezza, chiarezza, trasparenza, empatia, comprensione, aiuto, preghiera: essere per la vita esclude de facto la possibilità di procurarsi la morte. Essa viene da sé, non c’è bisogno di chiamarla anticipatamente. Su ivescovisvizzeri.ch si può scaricare il documento per ora solo in francese.

Fra Michele Ravetta, Assistente spirituale nel reparto di cure palliative a Casa Serena a Lugano

Chiesa cattolica svizzera

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