Chi era padre Ambrosoli? Il medico-missionario che presto sarà beato

Padre Giuseppe Ambrosoli ha compiuto un miracolo: è di pochi giorni fa la notizia che il Papa ha firmato il decreto che riconosce l’episodio miracoloso avvenuto grazie alla sua intercessione (https://www.catt.ch/newsi/cause-dei-santi-papa-francesco-autorizza-alcuni-decreti/). Ora comincia il conto alla rovescia per la beatificazione del medico e missionario comboniano nato nel 1923 a Ronago (in provincia di Como, paese confinante con la dogana di Novazzano) nella nota famiglia di industriali del miele e delle caramelle e che da ricco che era, lasciò tutto per dedicarsi ai poveri, in un angolo sconosciuto di mondo, Kalongo in Uganda.

Conseguita la laurea in medicina e chirurgia entrò tra i Missionari comboniani per i quali fu ordinato sacerdote dall’allora arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini. Nel febbraio 1956 s’imbarcò per l’Africa dove fu presto destinato a Kalongo, un villaggio sperduto nella savana, nel nord Uganda, per gestire un piccolo dispensario medico: una piccola capanna con il tetto di paglia che sarebbe diventato per trent’anni tutta la sua vita. Grazie alla sua grande professionalità, l’instancabile dedizione, la sua incrollabile fede e lo spirito imprenditoriale, padre Giuseppe riuscì a trasformarlo in un ospedale efficiente e moderno. E – fedele al motto di Daniele Comboni, «salvare l’Africa con l’Africa» – accanto all’ospedale fondò la St. Mary’s Midwifery Training School, oggi ufficialmente riconosciuta come una delle migliori scuole di ostetricia del Paese.

Chi lo ha conosciuto ricorda la sua quotidiana dedizione agli ammalati: «Al mattino iniziava a operare prestissimo – ha raccontato in un’intervista la nipote Giovanna – poi alle due mangiava un boccone, quindi via all’ambulatorio. Nel tardo pomeriggio la celebrazione della Messa e l’attività pastorale e la sera l’incontro con i medici e poi ancora lo studio fino a tarda notte». Questa sua dedizione senza riserve divenne trasparente nel momento più drammatico: il 13 febbraio 1987, nel pieno della guerra civile che flagellava il nord Uganda, padre Giuseppe fu costretto per ordine militare a evacuare l’ospedale. In quelle ore drammatiche i collaboratori lo sentirono dire: «Quello che Dio chiede non è mai troppo». Dopo aver messo in salvo a Lira il personale medico e i malati, Ambrosoli riuscì a salvare anche la scuola di ostetricia. Ma questo sforzo minò irreparabilmente la sua salute già precaria: il 27 marzo 1987, appena 44 giorni dopo l’evacuazione dell’ospedale, morì per una crisi renale pochi minuti prima che arrivasse da Kampala l’elicottero inviato in suo soccorso.

Due anni dopo a Kalongo l’ospedale poté riaprire grazie all’opera del confratello comboniano padre Egidio Tocalli e lì oggi padre Giuseppe Ambrosoli è sepolto. Quello che era un piccolo dispensario – grazie anche al sostegno della Fondazione a lui intitolata – oggi garantisce assistenza sanitaria qualificata a più di 50.000 persone e coordina 33 dispensari locali in una delle aree più povere dell’Uganda. Un miracolo quotidiano che oggi viene riconosciuto anche come una grande storia di santità.

Il miracolo riconosciuto risale al 25 ottobre del 2008: una giovane donna stava morendo, nell’ospedale fondato da Padre Giuseppe. Colpita da setticemia, perso il figlio che portava in grembo, non aveva più speranze. Ma il medico che l’assisteva le pose sotto il cuscino un’immagine di Padre Giuseppe e, con i parenti, pregò tutta notte «Il grande dottore». La mattina dopo, la giovane riaprì gli occhi, era viva, era guarita. Si chiama Lucia, è tornata dalla sua famiglia. A questo punto manca solo il decreto ufficiale per la beatificazione e non dovrebbe passare molto tempo.

La storia di padre Giuseppe Ambrosoli è raccontata nel libro di Elisabetta Soglio e Giovanna Ambrosoli «Chiamatemi Giuseppe. Padre Ambrosoli, medico e missionario» Edizioni San Paolo (2017)

Mondo e Missione/red

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