I 60 anni di sacerdozio di mons. Grampa: «Mi sento prete dell'Avvento e di una Chiesa in uscita»

Un prete dell’Avvento, del tempo che viene e che si fa speranza, tensione verso il futuro e attesa che Qualcuno venga. Un prete del Natale e dell’Incarnazione: così si sente e si definisce mons. Pier Giacomo Grampa che proprio il 6 dicembre di esattamente sessant’anni fa, venne consacrato prete nella chiesa di San Nicolao, a Lugano-Besso. Lo abbiamo incontrato a Castel San Pietro, all’Istituto Sant’Angelo, dove vive ormai da sei anni, da quando, il 7 dicembre del 2013, gli è succeduto mons. Valerio Lazzeri. E’ un triplice anniversario, quindi, quello che nei prossimi giorni, «don Mino», come in molti sono tornati affettuosamente a chiamarlo, si appresterà a festeggiare: 60 anni da prete, 16 da vescovo, di cui sei da emerito.
Il suo tempo si è fatto più lungo: c’è tempo per pregare, leggere, riflettere, seguire le vicende della Chiesa; tempo per scrivere, tenere conferenze, proporre esercizi spirituali. E poi ci sono le sostituzioni per le messe, le cresime e non da ultimo i viaggi, che ora, da emerito, mons. Grampa di tanto in tanto si concede, assecondando un’altra delle sue passione: le terre di missione. E a questo proposito sottolinea quanto anche la figura del vescovo che lo ha consacrato, Giuseppe Maggi, vescovo missionario del PIME, che ha sostituito in quell’occasione mons. Jelmini impossibilitato per malattia, sia stata emblematica per tutto il suo percorso di sacerdote prima e vescovo dopo.

Mons. Grampa, al di là delle celebrazioni, un anniversario rappresenta sempre anche un’occasione per volgere lo sguardo –anche criticamente- su quanto ci si è lasciati alle spalle…
«Le letture di quest’oggi (27 novembre, n.d.r.) ci hanno portato le tre «parole» di Daniele riguardo al re Baldassarre, di cui una dice: «Tu sei stato pesato sulle bilance e sei stato trovato insufficiente». Ho riflettuto molto su questo oggi. Guardando indietro, vivo due sentimenti. Uno di grande gioia e riconoscenza per il dono che ho ricevuto. E l’altro non dico di ansia, ma di dispiacere per le insufficienze che ci sono state in questi 60 anni che comunque per me furono una grande esperienza che mi ha permesso di conoscere sette papi e di servire sei vescovi. Sono stati anni difficili, di grande cambiamento per la Chiesa, ma ho anche avuto la grazia di vivere gli anni del Concilio, che mi hanno dato la spinta per superare queste crisi del tempo contemporaneo.
Anni comunque belli, intensi, positivi. Di cui più di 50 vissuti accanto ai giovani, sempre con una prospettiva di entusiasmo e di creatività. Sono un uomo più del fare che del pensare, del contemplare, del pregare: un uomo d’azione…»

Ma come si vive da emerito?
Per un attimo, un lampo gli accende lo sguardo, poi trae un profondo sospiro ed inizia a raccontare:
«Innanzitutto in un contesto che mi è stato familiare per tutti gli anni del mio sacerdozio. Vivo in un istituto: ho vissuto vita di collegio dai nove anni ai 67, quando sono diventato vescovo. In questo ambiente che accoglie ragazzi diversamente abili, mi sento bene e, anche solo come presenza: utile».

Che cosa augura e si augura a chi e per chi abbraccia oggi la strada che da sessant’anni è la sua?
«Innanzitutto che il giovane prete sia formato nello spirito e nella conoscenza dei documenti del Concilio, da cui c’è ancora molto da ricavare e da applicare. Perché l’impressione è quella di vedere sguardi sterili rivolti al passato, invece che coraggiose aperture verso il futuro. Mi augurerei che i giovani preti superino lo spirito di casta, il clericalismo, per abbracciare e condividere con serentità e partecipazione la sorte degli uomini contemporanei: nell’ascolto, nella comprensione, nella verifica insieme delle strade da intraprendere. Strade di apertura, dinamismo: che portano la Chiesa fuori: verso quelle periferie tanto care a papa Francesco».
A «Strada Regina», oggi suRSILa1 alle 18.35, il servizio dedicato a mons. Grampa.

Corinne Zaugg

Chiesa cattolica svizzera

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