Il commento al Vangelo della XXXI Domenica del Tempo Ordinario

Calendario romano: Luca 19,1-10.

Il cambiamento… una questione di sguardi

Una fantastica vista abbraccia le montagne ed il lago, dallo sperone di roccia sul quale apparve la Madonna nel 1480.

Su di esso Fra Bartolomeo d’Ivrea volle si edificasse un santuario, in ricordo di questa apparizione. A costituire il complesso del Sacro Monte, in realtà è un percorso dalla chiesa dell’Annunciazione, lungo la Via Crucis fino al santuario vero e proprio, dal quale Padre Paolo Corradi, un cappuccino proveniente da un convento di Milano, ora da due anni in Ticino, membro della comunità che custodisce questa meta di pellegrinaggio, commenta il Vangelo domenicale per questo mese di novembre, per condurci fino al termine dell’anno liturgico, che si chiude con la solennità di Cristo Re dell’Universo.

Anche il brano evangelico di questa domenica, nello scenario ripreso dalle telecamere di Caritas Ticino e che non ha mancato di stupire per la sua bellezza gli stessi operatori televisivi, è suggestivo quanto a sguardi: quello di Zaccheo, il cui nome significa «il puro», un ladro, servo del dominatore romano di Israele, per cui riscuoteva le tasse, quello di Gesù che vede oltre le apparenze e quello della folla che si limita a mormorare e criticare, senza scendere in profondità.

Ma è proprio lo sguardo di chi ci chiama per nome che permette a Zaccheo di cambiare vita, perché come commenta Padre Paolo Corradi, «le persone cambiano quando più che guardare si sentono guardate, non con sguardo che giudica, condanna, emette sentenze, ma accogliente, amorevole, che le fa sentire qualcuno, degno di essere amato.»

di Cristiano Proia (dalla rubrica televisiva Il Vangelo in casa di Caritas Ticino a cura di Dante Balbo, con Padre Paolo Corradi, in onda su TeleTicino e online su YouTube).

Calendario ambrosiano: Matteo 22,1-14.

In questo giorno di Tutti i Santi, leggiamo la pagina delle beatitudini. Mi soffermo solo sulla prima che proclama beati i poveri, in spirito aggiunge Matteo a differenza di Luca, come a sottolineare non tanto una condizione sociale di mancanza di risorse ma piuttosto una interiore condizione di distacco e libertà dal possesso.

Dire beati i poveri, vuol dire assumere lo sguardo stesso di Dio che con i poveri si identifica. Dire beati i poveri non vuol dire esaltare, celebrare tale condizione inducendo un atteggiamento di rassegnata accettazione, come se la povertà fosse voluta da Dio e quindi da accettare con rassegnazione. Dire beati i poveri vuol dire non considerare queste persone lo scarto della società, vuol dire riconoscerne comunque la dignità che non viene meno per la condizione di povertà. Dire beati i poveri vuol dire fare nostro il loro bisogno di giustizia perchè la povertà che segna gran parte dell’umanità non è condizione inesorabile, quasi un destino invincibile, ma è frutto di scelte storiche ingiuste come la scandalosa distribuzione delle risorse della terra destinate a tutti ma di fatto nelle mani di pochi.

Dire beati i poveri, come ci ricorda con appassionata insistenza papa Francesco, è volere una chiesa povera e per i poveri. Dire beati i poveri vuol dire per noi che apparteniamo a quella piccola parte dell’umanità che dispone della quasi totalità delle risorse, saper mettere a disposizione di chi non ha, il proprio tempo, le proprie capacità, i talenti ricevuti. Dire beati i poveri vuol dire scegliere uno stile di vita sobrio, alieno dallo spreco, dal lusso, dalla smania del possesso. Dire beati i poveri vuol dire esigere dai nostri Rappresentanti politici, scelte di giustizia e solidarietà.

Mi sembrano queste alcune condizioni perchè le nostre labbra possano ripetere la beatitudine della povertà. Non è scelta facile ed è scelta affidata alla libertà di ognuno, se vogliamo dire con Gesù: beati i poveri. Sennò meglio tacere.

di don Giuseppe Grampa

Chiesa cattolica svizzera

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