La famiglia: un bene prezioso per una Chiesa in cammino

Come amare il proprio marito o la propria moglie? Come imparare ad essere pazienti e saper perdonare? Come superare le incomprensioni nella coppia? A queste e altre domande si è tentato di rispondere durante una «vacanza formativa», di quattro giorni, organizzata dalla pastorale diocesana per la famiglia presso la Fraternità francescana di Betania a Cella di Noceto, in provincia di Parma. I momenti di riflessione sono stati tenuti da mons. Renzo Bonetti, già direttore dell’ufficio nazionale per la pastorale della famiglia della Conferenza episcopale italiana e oggi presidente della Fondazione famiglia dono grande. Gli abbiamo rivolto alcune domande.

Mons. Bonetti, dove nasce il suo grande impegno per la famiglia? «Quando ero parroco, nella diocesi di Verona, ho preso coscienza che potevo costruire la parrocchia solo assieme agli sposi. Ho cominciato a studiare il sacramento del matrimonio, per capire in che modo marito e moglie sono chiamati a costruire la comunità cristiana. Ho capito che sono realmente il fermento vivo di una parrocchia. Anche se io, in quanto sacerdote, sono il segno di «Gesù pastore» non potevo esercitare il mio ministero senza di loro».

Quindi c’è uno stretto legame tra sacerdoti e coppie sposate? «Certamente, sono due sacramenti voluti da Dio per costruire la comunità cristiana. Entrambi hanno uguale valore e lo stesso obiettivo ma modalità diverse nel costruire la «famiglia grande» dei figli di Dio».

Perché ritiene che la famiglia debba diventare soggetto, motore dell’evangelizzazione? «Principalmente per due motivi. Il primo: Papa Francesco in Amoris Laetitia afferma che gli sposi sono il «volto» che Dio ha voluto darsi nel mondo. Se voglio conoscere Dio non posso ignorare il volto dell’uomo e della donna unito nel sacramento del matrimonio. «Gli sposi – prosegue il pontefice – possono condurre a riflettere sulle realtà intime di Dio». Quindi se voglio veramente realizzare l’evangelizzazione non posso prescindere da questo «mistero grande» che è il matrimonio cristiano».

E il secondo punto? «Gli sposi, per la grazia del sacramento del matrimonio, partecipano al mistero dell’Incarnazione, cioè al mistero di un Dio che si è reso presente nell’umanità che ha voluto farsi vicino all’uomo, farsi guardare e toccare. Possiamo fare evangelizzazione a prescindere da questo? Vogliamo comunicare dei concetti o vogliamo fare sperimentare il volto di un Dio che ama?»

«Vorrei amarti come ti ama Gesù». Questo era il titolo principale delle sue meditazioni. Può brevemente indicarci alcuni punti essenziali? «Gli sposi sono chiamati a prendere coscienza di ciò che è accaduto con il sacramento del matrimonio. C’è una novità che accade con il sacramento delle nozze che a volte non sanno descrivere. Loro diventano segno di un’altra realtà, partecipano della natura di Dio. Questa presa di coscienza non è per creare una sovra-struttura alla dimensione umana dell’essere sposi e genitori, ma è per vivere e esprimere in pienezza questa dimensione umana. Il sacramento, con l’azione dello Spirito, esalta e fa crescere la bellezza di essere marito e moglie, padre e madre. Questo dono non è però circoscritto alla vita di coppia e di famiglia ma è un sacramento per esprimere e portare Dio per le strade del mondo, per comunicare l’amore di Dio a chiunque si incontra, cioè è un sacramento per la missione. Non è per la conservazione dell’integrità degli sposi e del matrimonio. E’ un sacramento per costruire la Chiesa, la comunità dei credenti».

Spesso si percepisce tra le famiglie cristiane uno scoraggiamento di fronte alle sfide imposte da questo «cambiamento d’epoca». Con quale sguardo dobbiamo affrontare il futuro? «L’esperienza cristiana, in particolare in Occidente, sta diventando minoritaria nella popolazione. Non bisogna scoraggiarsi ma lentamente andare verso una concezione diversa di pastorale: non è più il tempo della raccolta è il tempo della semina. Non dobbiamo abbandonare chi ancora chiede, magari un po’ superficialmente, i sacramenti nelle nostre comunità parrocchiali ma con quei pochi che sono disponibili ad andare maggiormente in profondità è urgente iniziare. Piccole «cellule» dove è possibile sperimentare e condividere fino in fondo la bellezza del matrimonio cristiano. Non dobbiamo dimenticare che la fede si trasmette per contagio. Gesù ha cominciato con 12 pescatori e ha cambiato il mondo».

Federico Anzini

Chiesa cattolica svizzera

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