Il poeta francese Charles Péguy e i «Partiti di Dio»

«Non basta abbassare il temporale per elevarsi alla categoria dell’eterno. Non basta abbassare il mondo per salire alla categoria di Dio». Lo scriveva nel 1914 Charles Péguy, nella sua Note conjointe su Cartesio e la filosofia cartesiana. In quello scritto, pubblicato postumo, il poeta francese — morto da soldato nella battaglia della Marna, all’inizio della Grande Guerra — segnalava tra le altre cose il grave «errore di calcolo» compiuto da quelli che lui definiva il «Partito dei devoti»: coloro che «poiché non hanno il coraggio di essere del mondo, credono di essere di Dio. Poiché non hanno il coraggio di essere di un Partito dell’uomo, credono di essere del Partito di Dio». E «poiché non amano nessuno, credono di amare Dio». Dimenticando che «anche Gesù — concludeva Péguy — è stato dell’uomo».

Le parole sul «Partito dei devoti» usate dal poeta francese sono state rievocate da Papa Francesco nel suo intervento di chiusura dei lavori del Sinodo dei vescovi sull’Amazzonia. Il Successore di Pietro le ha applicate ai «gruppi elitari» che (mal)trattano anche le assemblee sinodali alla stregua di congressi di partito, dove le singole disposizioni assembleari servono solo a misurare i rapporti di forza tra cordate antagoniste.

Le citazioni di Péguy non sono mai colpi sparati «a salve», espedienti per sfoggiare erudizione. Con la sua intimità poetica all’accadere del mistero cristiano, e con la sua immanenza viscerale alla modernità «incristiana», Péguy può illuminare con le sue folgorazioni poetiche anche la presente stagione ecclesiale, con le sue consolazioni e le sue croci. Tutta la sua opera ripete che da quando Dio si è fatto uomo, la fede riconosce che la «tecnica stessa» dell’avvenimento cristiano consiste nella «legatura tra l’eterno e il temporale». La natura propria del cristianesimo, imparagonabile a ogni cammino di saggezza spirituale o intellettuale, per Péguy sta proprio «nell’incastro di due pezzi, quel coinvolgimento speciale, mutuo, unico, non smontabile del temporale nell’eterno, e (ma soprattutto, cosa più spesso negata e che è in effetti la più meravigliosa), dell’eterno nel temporale». Un «innesto dell’eterno nel tempo» compiutosi nel mistero dell’incarnazione di Nostro Signore, e che si manifesta nel riaccadere temporale della grazia, nei continui «ricominciamenti» carnali della grazia nel tempo, i «nuovi inizi» dell’operare di Cristo stesso e del suo Spirito nelle vite dei singoli, delle comunità e dei popoli.

Per leggere l’approfondimento sulle parole di Charles Péguy che il Sismografo riprende da L’Osservatore Romano

Così, anche oggi, le parole di Péguy riprese da Papa Francesco aiutano a voler bene alla Chiesa che non ha paura di ammaccarsi abbracciando le attese e le gioie, le pene e le speranze degli uomini e delle donne di questo tempo. Dribblando anche le teologie e le sub-teologie che in un modo o nell’altro, per vie diverse e all’apparenza contrastanti, rimproverano a Dio il peccato di essersi fatto uomo. Nella speranza di poter sperimentare che «al loro destino di felicità gli uomini sono ricondotti attraverso l’umanità di Cristo» (san Tommaso d’Aquino).

Chiesa cattolica svizzera

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