Al Collegio Papio e a Locarno un’esposizione sui «Santi della porta accanto»

Giulio Rocca era un volontario dell’Operazione Mato Grosso. Nel 1989 aveva lasciato la Valtellina, dove abitava, alla volta del Perù per seguire da volontario l’Operazione Mato Grosso: una Ong che portava avanti diversi progetti in America latina. Ci va da ateo, mosso dal desiderio di dare una mano a chi aveva bisogni più urgenti e drammatici dei suoi. Arrivato in Perù, davanti a quanto vede e vive, viene investito da domande che chiedono risposte che lo trascendono. Inizia un intenso cammino spirituale che lo porterà, poche settimane prima di morire ammazzato, a chiedere al vescovo locale di entrare in seminario. È questa una delle 24 storie che più hanno toccato e colpito Gerolamo Fazzini, ideatore e curatore della mostra «Santi della porta accanto», che rimarrà esposta ancora fino a domani nel chiostro del Collegio Papio ad Ascona e da lunedì 14 a venerdì 18 ottobre, presso la Sacra Famiglia a Locarno. La mostra, nata in occasione del Sinodo dei giovani dello scorso ottobre, giunge in Ticino nel quadro del Mese missionario straordinario e si propone di far conoscere storie di giovani cattolici che parlino, attraverso le loro vite, soprattutto ai loro coetanei. Dai 32 pannelli che ne costituiscono il percorso, ci vengono incontro i volti di ragazzi che un incidente, una malattia, una mano armata, ha strappato alla vita. Le loro storie – e questo ne rappresenta il denominatore comune – nascono tut- te dentro a delle fragilità, all’interno di percorsi che sembrano essersi inceppati.

Ma chi sono i santi di oggi, Gerolamo Fazzini? Quelli che non si arrendono a questo apparente scacco del destino? «Sono delle persone che riescono a testimoniare la bellezza del Vangelo là dove vivono, quindi senza «strafare», ma con una trasparenza tale per cui si capisce che per loro essere santi non significa nient’altro che cercare la strada della felicità autentica. Essere santi non è privarsi di qualcosa, come se Dio chiedesse di mutilare una parte dell’umano, ma il suo contrario: ossia, consegnare tutto se stessi a Dio. E questo fa fiorire tutto l’umano che c’è in te».

La mostra ci parla di normalità, di una santità declinata nel quotidiano. Ma non le sembra che storie come quella di Carlo Acutis o Marco Gallo, per esempio, siano veramente straordinarie? «Certamente sono storie straordinarie per il modo con cui questi ragazzi hanno vissuto la loro fede. Ma lo hanno fatto a partire dalla loro quotidianità. Non sono ragazzi che hanno compiuto delle imprese. Ma là dove erano, hanno certamente lasciato un segno».

E perché paradossalmente in un mondo dove la fede viene sempre meno professata, le canonizzazioni aumentano? «Secondo me le due cose sono legate. Paradossalmente è come se il papa e i vescovi, volessero insinuarci il dubbio positivo, che Dio continui ad essere all’opera anche oggi. Che non è vero quello che appare ai nostri occhi e cioè che questo mondo sia totalmente lontano da Dio. E’ comunque interessante notare che i vescovi, in giro per il mondo, segnalano che ci sono moltissimi casi di apertura di cause di beatificazione di ragazzi e giovani, negli ultimi anni ma addirittura negli ultimi mesi, perché secondo me si va proprio nella direzione di valorizzare le storie ordinarie. Uno degli ultimi casi, ci viene dalla diocesi di Bergamo, dove è stato aperto un processo di beatificazione per un ragazza, Giulia Gabrieli, di 14 anni. Ma casi simili arrivano anche dal Brasile, dalle Filippine…»

Quali sono le reazioni che sin qui la mostra – che nel suo girare per l’Italia e ora anche in Svizzera, ha toccato un centinaio di località – ha permesso di raccogliere? «Dal punto di vista emotivo la mostra lascia il suo segno. Una cosa che è stata evidenziata e che ci ha fatto molto piacere è che nonostante racconti di ragazzi che non ci sono più, che sono morti, la mostra trasmette molta serenità. Pur essendo tutte storie tragiche di giovani morti prematuramente – almeno secondo la nostra ottica – la mostra, attraverso la grafica e i colori utilizzati, ma soprattutto attraverso le stesse parole dei ragazzi, trasmette gioia. E questo me lo ha confermato anche la mamma di Carlotta Nobile, quando è venuta a visitarla».

Corinne Zaugg

Chiesa cattolica svizzera

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