Fine vita, vescovi italiani: pericoloso cambio di mentalità

Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano

«Stiamo assistendo ad una deriva della società, dove il più debole viene indotto in uno stato di depressione e finisce per sentirsi inutile. Si creano i presupposti per una cultura della morte, in cui la società perde il lume della ragione». È quanto ha sottolineato il segretario generale della Conferenza episcopale italiana, mons. Stefano Russo, commentando la sentenza della Consulta sul suicidio assistito. Rispondendo stamani alle domande dei giornalisti a margine della conferenza stampa di presentazione del comunicato finale del Consiglio permanente dei vescovi italiani, mons. Russo ha aggiunto che è difficile parlare di «frattura tra Stato e Chiesa».

Orientamenti pastorali

Riunito a Roma dal 23 al 25 settembre sotto la guida del cardinale Gualtiero Bassetti, il Consiglio episcopale permanente ha dedicato la sessione autunnale al confronto sugli orientamenti pastorali dei prossimi cinque anni. È emersa, in particolare, la necessità di «una lettura del contesto odierno» che, evitando di soffermarsi semplicemente sugli aspetti problematici, recuperi molteplici tematiche. Tra queste, la questione ecologica, la scuola, la cultura digitale, le migrazioni, il dialogo ecumenico e interreligioso.

Per la vita

Durante la sessione autunnale del Consiglio permanente, i presuli hanno anche affrontato temi legati all’attualità. È stato ribadito, a proposito del fine vita, che si «può e si deve respingere la tentazione, indotta anche da mutamenti legislativi, di usare la medicina per assecondare una possibile volontà di morte del malato». I vescovi hanno inoltre riaffermato il rifiuto dell’accanimento terapeutico e rilanciato l’impegno per rafforzare «la presenza nei confronti dei malati terminali e dei loro familiari».LEGGI ANCHE26/09/2019

Sentenza della Consulta. Sconcerto dei vescovi italiani. Gambino: decisione grave

Fine vita

Mons. Russo: si rischia di andare verso una cultura di morte

A Vatican News, il segretario generale della Cei, mons. Stefano Russo, si sofferma sul nuovo protocollo d’intesa tra il Viminale e la Conferenza episcopale italiana, volto ad assicurare l’accoglienza di quanti – fra i 182 migranti sbarcati martedì scorso a Messina dalla nave Ocean Viking – non saranno ridistribuiti tra Francia, Germania, Portogallo, Irlanda e Lussemburgo. E ricordando la sentenza della Consulta sul suicidio assistito, sottolinea che si tratta di «un cambio di mentalità pericoloso».Ascolta l’intervista a mons. Russo

R. – È un cambio di mentalità pericoloso: di fatto viene permessa l’interruzione della vita delle persone che lo richiedono. E questo è un fatto – a nostro parere – molto grave. Allo stesso tempo, non si è sufficientemente attenti a sviluppare quella rete che prevede ormai anche un’attenzione e una prossimità alle persone che riguarda, ad esempio, le cure palliative. In una società che fa sempre più fatica a fare figli c’è il rischio che le persone che si ritrovano sole a gestire queste situazioni cadano in uno stato di depressione. Una situazione che, di fatto, favorirà una cultura di morte.

Una cultura di morte che purtroppo avanza …

R. – Sì, soprattutto per l’impatto culturale che questo pronunciamento ha, al di là degli effetti pratici che già sono operativi. L’impatto culturale che ha sulla vita delle persone, soprattutto di quelle persone che si trovano in una situazione di difficoltà legata ad una malattia e che ricorrono all’assistenza, anche, dello Stato: la vita non può essere valutata soltanto in base alla possibilità che abbiamo di muoverci. Ci sono persone ferme da anni sul letto che costituiscono un tesoro straordinario per le persone loro prossime …

Il rischio è che in nome di una presunta libertà si annulli l’etica …

R. – Lo sconcerto grande è questo: il fatto che si parli di una conquista di libertà. A noi sembra tutt’altro: rischiamo, invece, di andare verso una deriva che ci porta a una società che rischia di perdere il lume della ragione. Qui non si tratta di una questione di religione. Si tratta di una questione di attenzione alla persona, riconosciuta come tale.

Chiesa cattolica svizzera

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