Santiago De Compostela: la vita è un cammino

Sono diversi anni ormai che mi ero messo in testa di partire per fare il cammino di Santiago de Compostela, in quanto ne ho spesso sentito parlare come di un’esperienza davvero emozionante e profonda. Così è chiaramente cresciuta in me la curiosità di mettermi in cammino proprio sulle orme dell’apostolo Giacomo, le cui spoglie la tradizione vuole che siano state traslate proprio in questo piccolo paese della Galizia, nella parte più occidentale della Spagna. Si tratta di un pellegrinaggio rodato ormai da molti secoli verso questo luogo, i cui numerosissimi percorsi che vi conducono sono calpestati ogni anno da migliaia di pellegrini che, per motivi molto diversi gli uni dagli altri, che spaziano dalla fede, alla pura pratica sportiva, o alla sola curiosità, o ancora al desiderio di scoprire la propria vita spirituale, e così via, decidono di intraprendere questo viaggio.

Ora, se qualcuno dovesse chiedermi il motivo esatto per cui sentivo il desiderio di partire anche io, non saprei cosa rispondere sinceramente. Di sicuro, sono stato inizialmente mosso da una certa curiosità, da una passione per il cammino, dal desiderio di realizzare pienamente il mio cognome (Pellegrini…scherzi a parte), ma soprattutto il desiderio ultimo di scoprire chi sono, o meglio, come sottolinea Papa Francesco nell’esortazione apostolica postsinodale ai giovani e a tutto il popolo di Dio, Christus Vivit, scoprire per chi sono, quale è la mia vocazione speciale, unica, che Dio mi ha dato e ogni giorno mi da.

Finalmente, dopo anni di parole conclusesi con un nulla di fatto, quest’anno ho avuto l’occasione di partire, grazie alla proposta che la Pastorale Giovanile della Diocesi di Lugano ha fatto in vista dell’estate, proprio riguardante un pellegrinaggio verso Santiago. Sembrerà strano, ma più i giorni della partenza si avvicinavano e più sentivo una certa ansia di dover affrontare questo cammino, in quanto si consapevolizzava sempre di più in me l’idea di dover faticare molto per poter arrivare, perché partendo da Porto (abbiamo infatti percorso la parte portoghese del cammino) in direzione di Santiago ci sono oltre 240 chilometri da percorrere a piedi con lo zaino in spalla (il più leggero possibile…ogni chilo di troppo può essere fatale!). Mi rendevo conto della difficoltà di dover affrontare il cammino della Croce, la salita al Calvario. Cominciavo a capire come mai Pietro, quando sul monte Tabor Gesù si trasfigurò mostrando ad alcuni suoi discepoli (oltre a Pietro, c’erano infatti Giacomo e Giovanni, cfr. Mt 17,1-7) la Sua gloria, chiese al Maestro di rimanere lì dimorando in tre tende. Il Tabor è stata infatti una grazia speciale concessa da Gesù per preparare i discepoli ad affrontare poi il Calvario, per ricordarci che c’è sempre una luce che si nasconde nel buio, per ricordarci che dietro le nuvole splende sempre il sole. Ma la sola idea di affrontare davvero la Passione è troppo spaventosa, e si vorrebbe rimanere per sempre nei momenti di gioia, proprio come voleva Pietro. La cosa più straordinaria è però che quel cammino sul Calvario, che passa inevitabilmente dalla fatica, dalla Croce, poi termina con la vita, con la Risurrezione! Ed è stato proprio così anche a Santiago. Camminare non è stato sempre tranquillo, anzi, ci sono stati momenti di grande fatica, ma mi sono proprio reso conto che quando il cammino è più faticoso, la meta raggiunta diventa infinitamente più bella, una vera e propria esperienza di Risurrezione!

Dopo dieci giorni filati di cammino, quando negli ultimi chilometri si comincia ad intravvedere la cattedrale di Santiago, l’emozione sale e ti pervade totalmente. Camminando, la gioia è centuplicata, e non ho utilizzato questo termine casualmente, in quanto si tratta proprio di una promessa che Gesù stesso ci ha fatto: le nostre fatiche, le nostre rinunce, saranno sempre ricompensate, e cento volte tanto (cfr. Mt 19,29). Una volta arrivato però è successo qualcosa che non mi aspettavo: un senso di vuoto, di inquietudine. Eh sì! Domani non si cammina. Dopo così tanti chilometri a piedi è difficile arrivare, perché una volta raggiunta una meta si ha voglia di averne un’altra verso cui camminare: infatti, la cosa più bella per me non è stato tanto arrivare alla meta, ma camminare verso una meta. Si scopre che nella nostra vita terrena non ci sarà mai una meta che potrà darci una piena realizzazione e soddisfazione, per quanto certamente ci può dare inizialmente una grande gioia, ma non possiamo fermarci lì. Siamo fatti per una meta più grande, ultraterrena: siamo fatti per l’eternità, siamo fatti per stare per sempre con Dio, perché «abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni» (Sal 23), l’unica meta che ci colmerà totalmente. La nostra vita è un magnifico cammino verso questa meta, che possiamo già a tratti assaporare nelle piccole mete che ogni giorno siamo chiamati a raggiungere, che ci vengono donate come una nuova trasfigurazione, che ci preparerà ad affrontare una salita ancora un pochettino più difficile, e poi di nuovo una trasfigurazione, poi ancora un’altra salita, per andare sempre più su e sempre più su, fino al Paradiso, fino a Dio! Questa è la nostra vocazione: andare verso di Lui. Ultreia, ultreia et … suseia! Buen Camino!

di Dennis Pellegrini

Chiesa cattolica svizzera

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