La testimonianza di Angela sul cammino di Santiago: il pellegrinaggio insegna ad accogliere l'altro senza pregiudizi

Angela Caruso, 27 annim di Massagno , racconta l’esperienza vissuta lungo il cammino di Santiago de Compostela che ha percorso con il gruppo della Pastorale Giovanile.

«Il Cammino di Santiago mi ha obbligata a lasciarmi sorprendere fin dal primo momento. Le circostanze in cui sono venuta a conoscenza del viaggio organizzato dalla PG, così come le tempistiche, sono state sorprendenti. Mancavano poche settimane alla partenza, eppure c’era ancora un posto a disposizione; era come se quel posto aspettasse solo me. Nonostante il grande desiderio di fare il Cammino di Santiago, sono stata presa sùbito da mille paure, ma alla fine ha vinto l’evidenza: tutto concorreva affinché vi partecipassi. E così ho deciso di affidarmi».

«Una delle esperienze più forti di questo cammino è stata quella di diventare una pellegrina. Eravamo in cammino verso una meta, ma, come ci veniva ricordato, la nostra vera meta era il cammino stesso, perché era proprio quel peregrinare che ci avrebbe cambiato.

L’unica cosa che porti con te è uno zaino sulle spalle, nient’altro. L’essenziale. E scopri che è sufficiente, ti accorgi che puoi vivere con poco.

Ed è proprio la mancanza di tutto ciò che ingombra solitamente le nostre giornate, i nostri pensieri, che lascia spazio all’incontro con l’altro, al tempo di riflessione e di preghiera, allo stupore di fronte alla natura. Queste circostanze mi hanno resa capace di accogliere l’altro senza pregiudizi e senza nascondermi. Quando sei in cammino non ha più importanza il ruolo che occupi nella vita sociale, il tipo di lavoro che fai: sei pellegrino fra pellegrini. Indossi quello che hai, non ti preoccupi del tuo aspetto, non c’è tempo né spazio nello zaino per portarsi dietro trucchi e gioielli. Ti mostri per quello che sei, senza maschere.

Sei totalmente presente con corpo e anima.

Ed è per questo che gli incontri avvenuti lungo il cammino non si sono fermati alla superficialità, ma sono scesi in profondità, unendo pur nelle differenze».

«Ho dovuto poi scontrarmi con dei dolori fisici: per i primi sei giorni di cammino ho sofferto per un dolore all’anca. È stato molto pesante, tanto che al sesto giorno di cammino mi è uscita tutta la frustrazione del dover camminare nel dolore, col passo lento, senza mai riuscire a stare col resto del gruppo. Quando la mattina del settimo giorno abbiamo ripreso il cammino, non avevo più dolore all’anca; ero così felice di poter stare insieme agli altri, che camminavo col sorriso sulle labbra. Provando a trarre insegnamento da questo fatto, ho capito che avevo dovuto sperimentare nel mio piccolo che non c’è risurrezione senza croce. Il pellegrinaggio non è una passeggiata, la vita non lo è, e nemmeno la fede».

«Di nuovo, l’ultimo giorno, mi è venuto un dolore al tallone che mi costringeva a camminare lentamente. Il primo pensiero è stato di lamentela: «Nemmeno oggi che arriviamo a Santiago potevo camminare senza soffrire?». Ma poi ho sùbito cambiato atteggiamento ed ho ringraziato Dio perché ancora una volta mi ricordava che non stavo facendo una passeggiata e che le vittorie più belle passano dalla sofferenza».

«Il cammino insegna a guardare al bisogno di chi ti cammina accanto, facendoti uscire da te, e a lasciarti aiutare quando sei tu ad avere bisogno, obbligandoti ad una certa umiltà. Lì non vige la brutta consuetudine del farsi avanti a tutti i costi, anche a spese di chi ti sta accanto. È impressionante come ci si aiuti fra pellegrini: la salute dell’altro è importante, si vuole che anche lui arrivi alla meta e diventa naturale offrirgli il proprio aiuto. Al secondo giorno, verso fine mattinata, non riuscivo più ad avanzare a causa del dolore all’anca. Ho così dovuto accettare di farmi aiutare ed è stata una corsa a darmi una mano: c’è chi mi ha portato lo zaino per mezz’ora, chi si è offerto di prendere un po’ del mio peso, chi ha fatto uno scambio di zaini poiché il suo era più leggero. E così sono riuscita ad arrivare alla tappa successiva. Quello stesso giorno ci era stato proposto di «vegliare» come un angelo custode su un compagno; questo mi ha aiutata ad alzare gli occhi dalle mie fatiche alle fatiche dell’altro. Il coraggio che ci si infondeva a vicenda era fondamentale. Perché solo insieme si riesce ad arrivare alla meta».

Chiesa cattolica svizzera

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