Camminando sul ciglio della strada

Abitiamo nella periferia di Ho Chi Minh City in Vietnam, ormai da un anno e mezzo. In tre missionarie abbiamo iniziato qui una nuova presenza della nostra comunità.

La vita è essenziale e al tempo stesso molto intensa e dinamica e spesso mi trovo a riconoscere che sono proprio le relazioni più semplici, quelle che mi fanno sentire a casa in questo paese.
Trovarsi spogliati di tante sicurezze è paradossalmente la più grande ricchezza che mi trovo spesso a condividere.
L’ho scoperto camminando sul ciglio della strada, provando a mettermi al passo con chi cammina più lentamente ed è più aperto alla relazione.

Quando, due o tre volte alla settimana, riesco a ricavare un po’ di tempo nel ritmo incalzante della frequenza al corso di vietnamita, visito un luogo sorprendete: un «hospice» che fa pensare immediatamente al vangelo di Matteo capitolo 25 – Ero nudo, ammalato, carcerato, straniero…e ti sei preso cura di me.

Un coraggioso sacerdote camilliano, padre Tu, dieci anni fa ha incominciato a raccogliere dalla strada malati di tubercolosi ed Aids in fase terminale. Chi ne è affetto viene spesso abbandonato e qui non esistono strutture di accoglienza specializzate, in particolare per chi non ha risorse economiche.

I pazienti più gravi sono raccolti a pianoterra in stanze da tre o quattro letti. Quelli che stanno meglio in due grandi stanzoni al primo piano. In tutto una trentina di pazienti. Qui la morte non è uno spauracchio da tenere lontano, ma è di casa e conviene farsela amica. Farla entrare in modo normale nel proprio percorso come una meta, una tappa, a seconda delle diverse religioni. Non c’è tragedia nei loro occhi. Anche chi sta lottando, soffrendo, lo fa in mezzo agli altri con una dignità e una serenità che lasciano a bocca aperta.

Giorno per giorno questo ambiente mi è penetrato nel cuore e come una spina nella carne mi interpella. E nello stesso tempo mi fa scoprire la beatitudine della povertà vissuta nell’amore e nell’aiuto reciproco. Sì, perché in questo luogo non c’è personale sanitario. Sono i malati stessi, appena si sentono meglio, ad aiutare gli altri. Per questo la mia disponibilità come medico è stata una grande novità ed ha spalancato nuove progettualità. Scrivo i dati delle persone, i loro nomi, età e quello che sento auscultandoli, in un quaderno per cercare di ricordare ciascuno, di chiamarli per nome. Mentre tocco quei corpi tocco il Corpo di Cristo. Lo sento così vivo!!!

Quello che appunto nel mio quaderno è oggetto di interesse e curiosità da parte dei pazienti. Da una volta all’altra sono molto contenti di vedere quando prendo in mano la matita gialla o verde per evidenziare un miglioramento. La mia presenza così disarmata li sta incoraggiando oltre ogni mia aspettativa.

Loro ricominciano a sognare di stare meglio, di rivedere la famiglia. Sognano anche di poter curare meglio gli altri. Sognare è una terapia incredibile. Anch’io, da quando sono lì, ho un sogno ricorrente: di poter creare un gruppo, di coinvolgere alcuni studenti di medicina, di infermieristica, di fisioterapia, di poter assicurare cure più efficaci. I giovani sensibili anche qui in Vietnam non mancano e certamente qualcuno avrà il coraggio di lasciarsi coinvolgere in un’avventura così sconvolgente.
Credo che questa inimmaginabile fecondità dell’accoglienza attiva della povertà sia rivoluzionaria. Per ora l’esperienza sta generando sorrisi, amicizie, relazioni, ma anche sogni, progetti e, a lungo andare, ne sono certa, trasformazioni.

Bianca Maisano

Chiesa cattolica svizzera

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