La risposta più folle e più bella all'umana paura della morte

Ne La morte di Ivan Il’i Tolstoj descrive i pensieri di Ivan prima della morte: «Il sillogismo elementare che aveva studiato nel manuale del Kizevetter: Caio è un uomo, gli uomini sono mortali, Caio è mortale, per tutta la vita gli era sembrato sempre giusto ma solo in relazione a Caio, non in relazione a se stesso. Un conto era l’uomo- Caio, l’uomo in generale, e allora quel sillogismo era perfettamente giusto; un conto era lui, che non era né Caio, né l’uomo in generale, ma un essere particolarissimo, completamente diverso da tutti gli altri esseri: era stato il piccolo Vanja, con la mamma, il papà, Mitja e Volodja, i giocattoli, il cocchiere, la governante, e poi Katen’ka, e tutte le gioie, le amarezze, gli entusiasmi dell’infanzia, dell’adolescenza, della giovinezza. Aveva mai sentito Caio l’odore del pallone di cuoio che il piccolo Vanja amava tanto? Aveva mai baciato la mano della mamma, Caio, e aveva mai sentito frusciare le pieghe della seta del vestito della mamma, Caio? E Caio aveva mai strepitato tanto per avere i pasticcini quando andava a scuola? E Caio era mai stato innamorato? E Caio sapeva forse presiedere un’udienza in tribunale? Caio è mortale, certo, è giusto che muoia. Ma per me, per me, piccolo Vanja, per me Ivan Il’ic, con tutti i miei sentimenti, i miei pensieri, per me è tutta un’altra cosa. Non può essere che mi tocchi morire. Sarebbe troppo orribile».

Le parole di Tolstoj raccontano in una forma letteraria bellissima due verità essenziali: anzitutto che a non voler morire non è Caio, l’uomo in generale, ma sono io; secondo, che a non voler morire non è la mia anima ma il mio corpo animato. Che ne sa la mia anima dell’«odore del pallone di cuoio»? Ha mai mangiato gli spaghetti ai ricci di mare? Ha visto mai la linea dell’orizzonte dalla collina sul golfo di Cefalù? È mai stata, la mia anima, abbracciata dolcemente? Baciata di un bacio lungo? Per questo, l’unica cosa che metterebbe fine al grido della mia esistenza – «non può essere che mi tocchi di morire» – non è la dottrina dell’immortalità dell’anima, sostenuta già da Platone secoli prima di Cristo, e che ora torna di moda nelle varie teorie in voga sulla reincarnazione. E questo semplicemente perché «la mia anima non sono io», come ebbe a scrivere coraggiosamente Tommaso d’Aquino, controcorrente rispetto a tutti i teologi del suo tempo. L’unica cosa che veramente metterebbe fine al mio grido di dolore sarebbe la risurrezione dei corpi. E non è precisamente questo l’essenziale del cristianesimo, annunciato nella risurrezione di Gesù Cristo? Non è questo quello che davvero andava cercando il nostro cuore? «Non può essere che mi tocchi di morire», grida Ivan. «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà» gli risponde Gesù Cristo. Ed è, fra tutte le risposte possibili, la più appropriata, la più folle, la più bella.

Giovanni Ventimiglia, Professore ordinario all’Università di Lucerna

Chiesa cattolica svizzera

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