Ritrovare la brace che arde sotto la cenere degli scandali

Il monastero femminile di Fahr, alle porte di Zurigo e il monastero maschile di Einsiedeln fondato nel 934 da Bennone di Metz , costituiscono un «doppio monastero». Vale a dire che sono oggi l’unico monastero benedettino al mondo, dove un abate è a capo sia della comunità maschile che di quella femminile. Un unicum oggi, richiamato in vita, nel 2007, da un’antica tradizione, dalla priora Irene Gassmann e dall’allora priore, Martin Werlen.

Entrambi rappresentano una voce di cambiamento all’interno della Chiesa. Padre Martin, quale autore di numerosi libri critici nei confronti della Chiesa e la priora Irene, quale fautrice di una posizione di maggior partecipazione e presenza delle donne là dove avvengono i processi decisionali. L’intervista che segue è la trascrizione di una conversazione nata nella cucina del monastero di Fahr, dopo la preghiera del giovedì sera, davanti ad una fetta di torta di albicocche.

Padre Martin: un anno fa lei ha dato alle stampe un libro dal titolo Zu spät (»Troppo tardi»). Se già un anno fa riteneva che fosse troppo tardi per la Chiesa, che cosa dice oggi, dopo tutto quello che è successo? «Francamente devo dire che non è una novità per me. Infatti, da questa sofferenza sono nati anche i miei ultimi libri.

La novità è che oggi abbiamo compreso che non possiamo più distogliere lo sguardo: che dobbiamo guardare a quello che c’è, cercando di leggerlo con gli occhi di Dio e di affrontarlo in un’ottica che ci viene direttamente dal Vangelo.

È evidente che non possiamo continuare così, sperando che tutto si sistemi e che le cose tornino ad essere come una volta. Dobbiamo trovare il coraggio di vivere la nostra vocazione e di prendere oggi delle decisioni per il futuro: dobbiamo realizzare quanto sta avvenendo e poi svegliarci, e magari da questo risveglio può nascere qualcosa di nuovo. Se no rimaniamo al buio a lamentarci che non si muove nulla, che tutto rimane com’è. Ma il Vangelo è sempre nuovo».

Personalmente, madre Irene, come ha vissuto lei, quello che è successo all’interno della Chiesa cattolica negli ultimi tempi? «Io e la mia comunità è da un po’, ormai, che siamo in cammino su questa strada. Con il progetto «Chiesa con le donne», nell’estate del 2016, avevamo formulato un desiderio che ora sta diventando sempre più concreto. La richiesta era che non siano solo gli uomini a prendere le decisioni, all’interno della Chiesa. Ma che se ne discuta insieme, che anche le donne siano coinvolte e che si proceda insieme. Se guardo a quello che è successo negli ultimi mesi mi accorgo che sempre più donne si alzano in piedi, si fanno avanti e sentono che è veramente giunto il momento in cui noi donne veniamo ascoltate, coinvolte. Io credo che i recenti fatti che hanno scosso la Chiesa, ci portino verso una crescente presa di coscienza».

Crede dunque, madre Irene, che la maggior partecipazione delle donne potrebbe cambiare il volto della Chiesa di domani? «Dopo tutto quello che è accaduto nella Chiesa nelle settimane e nei mesi scorsi, sono convinta che

la Chiesa si potrà rinnovare unicamente a partire dal Vangelo e se le donne verranno coinvolte nel processo di cambiamento, se verranno prese sul serio, e avranno accesso a funzioni guida e a ruoli decisionali.

Io credo che se questo non avverrà, saranno sempre solo gli uomini ad avere l’ultima parola e a prendere l’ultima decisione. Finché le cose rimarranno così, la Chiesa non può guardare al futuro in maniera rinnovata ».

E cose ne pensa lei, padre Martin? «Quello che la priora Irene ha appena detto non è «moderno» o «liberale», come spesso si sente dire. Ma è semplicemente la conseguenza del battesimo. Non ci sono due battesimi nella Chiesa. Non c’è un battesimo per gli uomini e un battesimo per le donne. Il battesimo è il sacramento base, quello fondamentale. Purtroppo non lo prendiamo sufficientemente sul serio. Tutto quello che la priora ha appena detto, infondo non ne è che una conseguenza. La questione centrale è quella del battesimo. Il battesimo, infatti, è il più importante tra tutti i sacramenti. È molto più importante che una persona sia battezzata che non che riceva il sacramento dell’ordine. Ma per secoli abbiamo creduto l’esatto contrario. Che fosse il sacramento dell’ordine ad essere più importante. Invece nessuno può essere ordinato, se prima non è stato battezzato. Sarebbe così importante se riscoprissimo questo!».

Ha una possibilità di sopravvivere questa Chiesa? C’è ancora fuoco sotto la cenere? «Io non resto perché mi piace l’istituzione, perché mi piace il prete o perché trovo quello che mi piace, ma resto perché credo. Poi all’improvviso scopro che credere è importante e allora devo scavare e capire e mi trovo in viaggio con altre persone e questa «brace» la scopro spesso. E molte volte dove in fondo non me l’aspetto.

Là dove qualcosa crolla, alla fine, si trovano i carboni ardenti».

E lei madre Irene, che ne pensa, c’è ancora della brace? «Sì! Anch’io vivo il fatto che, negli ultimi anni, con molte persone inaspettatamente, si creano profonde discussioni. Incontro molte persone e parliamo della fede, della loro ricerca, della loro esperienza. E il progetto della «preghiera del giovedì» rientra in questo scambio reciproco. È una preghiera comune. Abbiamo iniziato il 10 febbraio, giorno di Santa Scolastica. Nelle settimane precedenti, da molte parti venivo invitata a sottoscrivere petizioni e iniziative che avevano per oggetto il cambiamento all’interno della Chiesa. Sentivo che, almeno per me, questa non era la strada giusta per affrontare il problema. Ho capito che occorreva attingere alla dimensione contemplativa, alla preghiera. E così abbiamo iniziato la «preghiera del giovedì», momento di riflessione perché la Chiesa cambi».

Più informazioni su: www.gebet-am-donnerstag.ch. La preghiera esiste anche in italiano e potrebbe essere diffusa anche nella Svizzera italiana.

Corinne Zaugg

Chiesa cattolica svizzera

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