Padre Manicardi, priore di Bose: il binomio spiritualità e politica è possibile

Che cos’è la politica? È possibile «fare politica» in modo giusto, sensato, mite, umano? A una settimana dalle elezioni cantonali ne discutiamo con il biblista Luciano Manicardi, priore della comunità monastica di Bose dal 2017, e autore del libro Spiritualità e politica. Dall’interiorità all’azione (Edizioni Qiqajon).

Padre Manicardi, in che rapporto sta la spiritualità con la politica? Apparentemente sembrano due cose molto distanti…

Possono certamente apparire tali e lo sono anche realmente nella pratica di tanti politici. Tuttavia se si intende «spiritualità» nell’accezione non religiosa e ancor meno confessionale di ricerca del senso del vivere e di costruzione delle condizioni del vivere insieme, comprendiamo che essa riguarda ogni singolo individuo colto nella sua unicità e anche la collettività che gli umani costruiscono e pertanto costituiscono, riguarda l’io e il noi.

Chiamato a divenire se stesso, ogni uomo ha anche il compito di costruirsi in relazione con gli altri, di costruire dunque un «noi», ed ha la responsabilità di costruire non solo «con», ma anche «per» gli altri la casa comune. La responsabilità di se stessi è anche responsabilità per gli altri, per la polis, per il futuro e per le generazioni future.

E la politica deve guardare l’oggi ma anche il futuro, deve rispettare l’individuo ma anche costruire e custodire la collettività. Intendo spiritualità come rifiuto del paradigma dell’homo absolutus, che concepisce la libertà come assenza di legami, la intendo come rigetto dell’attitudine di chi riduce il mondo alle dimensioni della propria ristretta cerchia di conoscenti e di interessi, che assolutizza il proprio mondo privato e ignora l’idea di interesse collettivo, e invece, positivamente, come spazio accordato alle questioni del senso inteso come direzione, significato e gusto, come creazione di un orizzonte comune e di una speranza condivisa, come attenzione all’umano e alla sofferenza degli umani. Una tale politica diviene politica dei volti.

Una politica attenta alla dimensione spirituale è alla base di quella che Avishai Margalit chiama la «società decente», ovvero che rifiuta l’umiliazione e il trattare gli esseri umani come non-persone, negando o diminuendo il loro statuto umano: luoghi di discernimento della decenza o meno di una società sono, tra gli altri, il sistema sanitario e il sistema carcerario, ma anche la burocrazia.

Da dove nasce il suo interesse per questa tematica come monaco?

Da quella curiositas che mi porta a interessarmi di ciò che è umano. La celebre frase presente in una commedia di Terenzio «Sono un uomo e tutto ciò che è umano mi riguarda» è la risposta che Cremete dà a Menedemo che lo rimprovera di essere curioso: «Hai tanto tempo da perdere, Cremete, che non pensi agli affari tuoi e ti occupi di quelli degli altri, che non ti riguardano affatto?» C’è una curiositas benedetta e santa che è un interessarsi dell’umano, è passione per l’umano, apertura al mondo, vulnerabilità al molteplice, disponibilità a lasciarsi interpellare dall’alterità, capacità di stupore verso il reale, e diviene cura, sollecitudine per gli umani. Dunque, questa curiosità ha una importante valenza spirituale, ma anche politica. Interessato, come da tempo sono, a una grammatica dell’umano, mi occupo della vita interiore, del movimento della conoscenza di sé, della dimensione relazionale e ovviamente anche di quella politica.

I politici sono per il ruolo che rivestono molto esposti. Come possono riscoprire invece la dimensione interiore che possa aiutarli a svolgere meglio il loro ruolo?

Coltivare l’interiorità è il primo passo per la costruzione e per la partecipazione feconda alla vita della polis, perché l’interiorità è il luogo dove si forgia la libertà, dove si elabora la convinzione che conduce a scelte e decisioni, dove matura la forza di dire di no, dove si pensa l’oggi e si immagina il futuro.

Certo questo oggi questo esige da un politico la capacità di sobrietà e riservatezza che sono contraddette dall’idolatria della comunicazione che esige la presenza sui social, il presenzialismo televisivo, il rilasciare interviste su interviste, la visibilità spinta al massimo grado. Credo che sia importante riscoprire un rapporto diverso con il tempo: non cedere all’imperativo della fretta, non cadere nel trabocchetto delle programmazioni su tempi brevi e brevissimi, magari avendo in vista la scadenza elettorale più vicina … La sovraesposizione dei politici è un’arma a doppio taglio: se assicura quella visibilità che è necessaria per essere riconosciuti e quindi votati, essa depotenzia il politico impegnato a postare immagini e annotazioni di poca o nulla importanza, a comunicare frasi brevi e totalmente prive di argomentazione che colpiscono o impressionano, ma non possono certo convincere proprio perché sono prive di argomentazione.

Voglio riportare un magnifico testo di Weber: «La politica consiste in un lento e tenace superamento di dure difficoltà, da compiersi con passione e discernimento al tempo stesso. È perfettamente esatto, e confermato da tutta l’esperienza storica, che il possibile non verrebbe raggiunto se nel mondo non si ritentasse sempre l’impossibile. Ma colui il quale può accingersi a quest’impresa deve essere un capo, non solo, ma anche – in un senso molto sobrio della parola – un eroe. E anche chi non sia l’uno né l’altro, deve foggiarsi quella tempra d’animo tale da poter reggere anche al crollo di tutte le speranze, e fin da ora, altrimenti non sarà nemmeno in grado di portare a compimento quel poco che oggi è possibile. Solo chi è sicuro di non venir meno anche se il mondo, considerato dal suo punto di vista, è troppo stupido o volgare per ciò che egli vuol offrirgli, e di poter ancora dire di fronte a tutto ciò: ›Non importa, continuiamo’, solo un uomo siffatto ha la ›vocazione’ per la politica».

Lei afferma che parlare di spiritualità e politica richiede anche di parlare della qualità umana della persona che si dedica alla politica. È una cosa di cui, effettivamente, si sente parlare poco … Cosa intende mettere in rilievo con questa affermazione?

Mi riferisco al celebre ritratto che Max Weber ha fatto del politico nel suo scritto «La politica come professione». Il ritratto abbozzato da Weber fa emergere un invisibile dell’uomo politico, una sua dimensione profonda e nascosta che si sottrae all’apparire, che rifugge l’esibizione, che abita la profondità e detesta la superficialità. Questo ritratto parla, senza nominarla, della solitudine dell’uomo politico. Una solitudine intrisa di forza e di saldezza perché frutto di ascesi, di dedizione all’esercizio dell’arte di conoscersi, di esame di sé, di dialogo e lotta interiori, di pensiero e riflessione, di capacità di reggere l’urto di situazioni sfavorevoli e disperanti, senza lasciarsi abbattere. La politica, che conduce l’uomo a gestire forza e potere, e perfino la «violenza legittima», porterà con sé «pericolose tentazioni», condurrà a incontrare il male, a confrontarsi con potenze diaboliche, a subire seduzioni potenti e richiederà perciò discernimento e saldezza, conoscenza di sé e lotta interiore, capacità di volere e capacità di dire di no. Se la dedizione alla politica esige passione, senso di responsabilità e lungimiranza, essa richiede un rigoroso esercizio al governo di sé e delle proprie passioni per acquisire forza e autorevolezza. E magari l’assunzione di quella virtù non così diffusa che si chiama coerenza. Insomma, l’esercizio dell’attività politica implica un lavoro esigente su di sé, la capacità di metterlo in atto (cosa tutt’altro che scontata), l’ascesi come scelta dell’essenziale, il rigore personale e la capacità di governare se stessi. In questo senso la qualità umana della persona che si dedica alla politica è essenziale: è garanzia della sua dedizione, della sua serietà, della sua affidabilità. Sottolineare la dimensione della qualità umana di chi si occupa di politica significa dire che solo persone mature umanamente, affidabili, oneste, rispettose, possono svolgere in maniera adeguata questa missione che non è affare di mestieranti o di faccendieri.

 

 

Cosa significa avere «carisma» in politica?

Capisco che il carisma è un’arma vincente perché il leader carismatico crea consenso, ma lo trovo molto pericoloso e ne ho molta diffidenza. Il carisma affascina, l’uomo carismatico trascina, è un leader nato, ma coinvolge su basi pre-razionali. Il carisma lega a una persona, con i rischi di derive personalistiche e autoritarie che questo comporta. Spesso poi la persona carismatica si circonda di persone che gli dicono ciò che lui vuole sentirsi dire. Sappiamo che gli ufficiali di Hitler distorcevano volutamente o addirittura inventavano le prove che potevano confermare ciò che il loro leader già credeva. Il politico carismatico rischia di essere un seduttore e un demagogo.

Nell’antichità Euripide aveva descritto il demagogo come un grande seduttore affermando che esso è capace di adattarsi alle circostanze più diverse e sconcertanti, di assumere i volti delle diverse categorie sociali e dei tipi umani presenti nella polis, di inventare le mille forme che avrebbero reso efficace la sua azione nelle situazioni più svariate. Il demagogo è anche il giocoliere delle parole, l’illusionista della parola. Colui che fa della parola uno strumento di potere. Colui che si serve delle parole per usare le persone e spesso gli uomini politici carismatici sono dotati di una buona retorica, di una grande capacità di affabulazione. La persona carismatica ha la capacità di inibire l’altro dall’opporsi e dal criticare e perfino di spingerlo a difendere il capo anche contro ogni evidenza. La persona carismatica ha costruito il suo sogno, a cui molti vogliono partecipare e così il sogno diventa un sogno a due, o più, un bisogno a cui le persone intorno al leader carismatico si assoggettano in una sorta di dipendenza. Il carismatico ha come centro e fine se stesso e a questo centro e a questo fine tutto è sacrificabile: anche gli altri, anche la libertà di un popolo, anche la vita di tanti.

E in quei Paesi in cui la politica si traduce esplicitamente in violenza? Che ne pensa?

La politica diviene violenza non solo nelle forme degenerate della dittatura o del totalitarismo dove la «politicizzazione totale» soffoca le libertà individuali, ma lo può divenire anche all’interno di una democrazia. E questo avviene a partire dal pervertimento della parola. La democrazia vive di parole scambiate, di dialogo, di confronto di opinioni, di concertazione, di parole che stringono alleanze, di dibattiti, di parole scelte e condivise che diventano leggi, regole, norme, dunque la parola democratica è lo strumento che elabora spazi sostitutivi della violenza rendendo possibile la convivenza civile e creando possibilità di pacificazione di conflitti.

La democrazia viene corrosa anzitutto con la corruzione delle parole: esempi anche recenti ci dicono che la menzogna è stata alla base dello scatenamento di guerre. Quando nello spazio pubblico e da parte di chi ha responsabilità della cosa pubblica, e poi dalla stampa e dai mezzi di informazione, la parola è svilita, abusata, manipolata, distorta, usata come arma, essa destabilizza il terreno di intesa democratica. Non a caso, ogni volontà dittatoriale inizia con l’uccisione della parola. Se la dittatura schiaccia la parola alla sua fonte distruggendola in radice, la modernità la fa proliferare in maniera incontrollata, inflazionandola fino a svuotarla di senso e a suscitare indifferenza per essa. Svuotata la parola del suo potere, sorge la tentazione di sostituirla con l’affidamento alla parola del potere, alla parola del capo. Dove non è più importante la parola e il suo contenuto, ma il capo che pronuncia quel che vuole.

La difesa della democrazia è anzitutto difesa della parola perché con la falsificazione della parola ogni altra cosa viene tradita.

Dunque, per finire, è possibile fare politica in modo sensato, giusto e umano?

La cosa è possibile, ma non è certamente facile. E poiché la politica implica serietà e rigore personali, equilibrio e motivazione, dedizione e intelligenza, convinzione e responsabilità del singolo, ma dipende anche da situazioni e contingenze storiche particolari, conosce dialettiche di opposizione e di equilibri sempre da trovare di nuovo, può avvenire che l’azione politica sensata, giusta e umana diventi una testimonianza luminosa dell’uno o dell’altro, magari anche di un gruppo, ma che non sia vincente, non assicuri il risultato perseguito. In ogni caso resterà sempre come testimonianza, come atto che ha la forza di un’illuminazione, di un fiat lux, di un faro che indica la via da percorrere per un’umanità più vera. Per una politica coniugata con la spiritualità e dunque capace di creare senso e dare speranza.

Laura Quadri

Chiesa cattolica svizzera

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