L'obbligo di denuncia per i casi di pedofilia: novità giuridica in Vaticano già in uso in Svizzera

di Vincenzo Pacillo*

È stata firmata lo scorso 26 marzo 2019 la legge n. 297 dello Stato Città del Vaticano (SCV) «sulla protezione dei minori e delle persone vulnerabili»: un testo normativo che entrerà in vigore il prossimo 1° giugno e che – a ragione – può ben definirsi storico per una serie di motivi che andremo ad esaminare.

Una legge valida all’interno dello Stato della Città del Vaticano
In primo luogo occorre evidenziare che la legge n. 297 è una legge vaticana, per cui essa spiega i suoi effetti prevalentemente entro i confini del territorio della Città del Vaticano (che con i suoi 44 ettari è la nazione più piccola del mondo, enclave nel territorio della città di Roma). Tuttavia, a parte il fatto che tale legge può applicarsi anche a fatti compiuti fuori dal territorio vaticano (ad esempio quando la vittima sia un cittadino vaticano o quando venga in considerazione il ruolo svolto da pubblici funzionari dello SCV), è indubbio che essa – essendo stata promulgata direttamente dal Pontefice – rappresenterà un punto di riferimento ineludibile per tutte le norme canoniche adottate dalle Conferenze episcopali allo scopo di proteggere minori e soggetti vulnerabili da fattispecie quali la violenza sessuale, gli abusi e la pedopornografia.
Tali fattispecie sono infatti esplicitamente richiamate dall’art.1 della norma in esame, in virtù del quale la legge n. 297 si applica ai reati di cui al Titolo II della legge n. 8, recante norme complementari in materia penale, dell’11 luglio 2013: compito della legge n. 297 non è dunque quello di fissare le condotte vietate e le correlative sanzioni penali quando si tratta di tutelare i minori dalla violenza e dall’abuso, giacchè specifiche norme in materia sono in vigore già da diversi anni. Piuttosto, la legge n. 297 comporta due importanti innovazioni sostanziali e procedurali rispetto al quadro normativo già vigente: in primo luogo equipara ai minori i soggetti vulnerabili, dando dunque – per la prima volta – rilevanza giuridica esplicita alla categoria della vulnerabilità; in secondo luogo, essa stabilisce senza alcuna incertezza che il pubblico ufficiale che venga a conoscere dei suddetti fatti delittuosi ha – fuori del caso del sigillo sacramentale – obbligo di denuncia.

L’equiparazione dei minori a «soggetti vulnerabili»
Quanto al primo aspetto, occorre ricordare che il concetto di «vulnerabilità» è ben noto al legislatore dello Stato: basterà qui ricordare l’art. 67-a.2 del Codice penale federale, come novellato dal n. 1 della LF del 16 marzo 2018, secondo il quale «sono considerate particolarmente vulnerabili le persone che, a causa dell’età, di una malattia o di una deficienza fisica, mentale o psichica di lunga durata, dipendono dall’aiuto di terzi nelle attività della vita quotidiana o nella determinazione della loro esistenza». Una definizione di tale categoria – assai simile a quella dell’ordinamento elvetico – è operata nel diritto italiano dal D.lgs. 142/2015, con il quale è stata implementata nell’ordinamento nazionale la «Direttiva accoglienza» (33/2013/UE). La legge vaticana n. 297 offre una definizione particolarmente ampia di vulnerabilità (è considerata vulnerabile ogni persona in stato d’infermità, di deficienza fisica o psichica, o di privazione della libertà personale che di fatto, anche occasionalmente, ne limiti la capacità di intendere o di volere o comunque di resistere all’offesa), così ampliando in modo evidente l’effetto della protezione garantita dalla legge n. 8.

Obbligo dei vescovi di denuncia alle autorità criminale competente: differenze tra Svizzera e Italia
Quanto al secondo aspetto, è ben noto che una delle più rilevanti fonti di dubbio e discussione, all’interno della Chiesa cattolica, riguarda l’atteggiamento da tenere di fronte alla conoscenza di un abuso sessuale perpetrato all’interno della comunità ecclesiale riguardo all’obbligo giuridico di denunciare il fatto all’autorità criminale competente.
Le linee guida della CVS sono molto chiare nello stabilire che gli Ordinari (vescovi diocesani, vicari generali o episcopali e superiori maggiori di ordini religiosi) debbono notificare agli enti pubblici responsabili del perseguimento, tutti i reati perseguiti d’ufficio di cui sono a conoscenza. Diversa è la posizione della Conferenza Episcopale Italiana, la quale – nelle linee guida del 2014 – sostiene che «nell’ordinamento italiano il vescovo, non rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale né di incaricato di pubblico servizio, non ha l’obbligo giuridico – salvo il dovere morale di contribuire al bene comune – di denunciare all’autorità giudiziaria statuale le notizie che abbia ricevuto in merito ai fatti illeciti».
La legge SCV n. 297 stabilisce chiaramente che i Cardinali considerati pubblici ufficiali per il diritto vaticano – e tra questi il Presidente del Governatorato dello SCV – hanno obbligo di denuncia alle autorità penali nei casi di abuso perpetrato in territorio vaticano ovvero a danno di un cittadino vaticano. Sarà a questo punto molto difficile per il diritto canonico particolare – ovvero quello promulgato a livello nazionale – giustificare la ragionevolezza di un regime differenziato che faccia sfumare l’obbligo di denuncia in un mero dovere morale privo di conseguenze giuridiche.
Al termine di queste brevi considerazioni è necessario ricordare gli articoli 4, 7 e 9, i quali prevedono particolari cautele per preservare la salute psicofisica e la buona fama del minore o del soggetto vulnerabile coinvolto: di particolare interesse il servizio di accompagnamento il quale, oltre ad offrire un servizio di ascolto, garantisce alle vittime assistenza medica e sociale.

Da Francesco una dimensione giuridica per la pastorale della Chiesa in uscita
Insomma, ancora una volta Papa Francesco offre una dimensione giuridica alla pastorale della Chiesa in uscita, e dimostra come la volontà di cambiamento di fronte alla piaga degli abusi sui minori non sia legata meramente alla dimensione spirituale, ma si incarni in attività concrete di tutela.

*L’autore del commento è Professore Ordinario in Diritto Canonico presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’UniversitaÌ» degli Studi di Modena e Reggio Emilia, del quale è anche Direttore

Chiesa cattolica svizzera

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