Siamo tutti Christchurch

Christchurch, a guardare le immagini nel web di questa idilliaca città della Nuova Zelanda, verrebbe voglia di partire domani mattina per andarci in vacanza. Christchurch, dal nome fin troppo chiaramente cristiano, è entrata di prepotenza nella nostra vita per l’orribile strage di ieri perpetrata nel nome di una violenza pianificata, tanto spregevole quanto pericolosa. Christchurch siamo tutti noi, anche. Me ne sono accorta ieri pomeriggio, a scuola, quando una collega docente mi ha raccontato di avere una parente che abita a poche centinaia di metri dalla moschea degli attentati, proprio lì in Nuova Zelanda. E mi ha raccontato di una comunità islamica della città neozelandese ben integrata, composta da tante persone che hanno lasciato l’Afghanistan per scampare alla violenza. La parente della mia collega gestisce un negozio con anche clienti musulmani, persone che frequentano quella moschea. E allora? Christchurch siamo tutti noi: quella periferia del mondo che la violenza globalizzata fa improvvisamente rimbalzare dentro la nostra vita, arriva in un’altra periferia e incontra persone che magari, proprio dall’altra parte del mondo, si conoscono. Così è il mondo globalizzato, lo stesso mondo che purtroppo interagisce con il suo carico di  slogan portatori di odio e posizioni fondamentaliste con le menti di estremisti, che poi si spostano da un paese all’altro, come l’attentatore australiano, andando a globalizzare la morte.  Che dire allora? Dire solo che Christchurch siamo tutti noi, perché Christchurch se  è stato in queste ore un esempio di globalizzazione di atteggiamenti, slogan e derive violente che nascono ovunque ma poi, contemporaneamente, si manifestano in un luogo preciso e che rimbalzano da una periferia all’altra del mondo, dobbiamo sperare anche che  rappresenti il rimbalzare di un’altra storia: quella di una comunità islamica ben integrata e laboriosa, l’1% della popolazione, inserita tra gente che li rispetta e li valorizza e che loro rispettano e valorizzano. Questo, speriamo sia il vero messaggio globalizzato che scaturisce da questa tragedia, un messaggio che ci auguriamo possa perforare gli schermi, i tablet e gli iPhone arrivando in ogni periferia, per rispondere con la forza della fraternità alla pericolosa demagogia di cui si caricano altri tipi di messaggi, quelli che hanno suggestionato la mente dello sparatore e dei suoi -per ora presunti- complici.

Chiesa cattolica svizzera

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