Padre Jens a Losone: «Per accogliere i profughi bisogna capire i loro reali bisogni»

Nato in Germania, a Berlino, cresciuto a Effrettikon, battezzato dopo la conversione in Siria dallo stesso padre Dall’Oglio, entrato nella Comunità di Mar Moussa nel 1996 e ordinato sacerdote caldeo in Iraq. Padre Jens Petzold vive attualmente a Sulaymaniya, a nord dell’Iraq, sul confine con l’Iran. Una città di 600’000 abitanti, relativamente tranquilla, ma con il problema dei profughi siriani da affrontare, come ci racconta egli stesso in occasione della sua visita alla parrocchia di Losone, invitato dal parroco don Jean-Luc e da Aiuto alla Chiesa che soffre (ACN).

«Il solo Kurdistan, regione dell’Iraq in cui mi trovo attualmente e che conta 4 milioni di persone – ci racconta – ha accolto negli ultimi tre anni la metà della sua popolazione, ovvero 2 milioni di rifugiati, tra cui 150 mila cristiani. Per lavorare in favore dei profughi bisogna essere svegli e saper vedere i loro reali bisogni. Molti dicono che la priorità è fornire cibo; è vero, ma bisogna anche garantire loro una continuità e una regolarità di vita, per questo abbiamo deciso di fondare anche delle scuole, affinché abbiano una quotidianità normale. In questo senso, abbiamo ricevuto anche molto aiuto da Aiuto alla Chiesa che Soffre: l’organizzazione ci ha aiutato ad accogliere nella nostra Diocesi oltre 700 studenti di varie etnie, a organizzare per loro dei campi estivi, oltre che a fornirci un soccorso di prima necessità».

Padre Jens, in Occidente siamo abituati a parlare del dialogo interreligioso e a studiarlo a livello accademico. Ma come si attua veramente sul campo? «Direi anzitutto con l’accoglienza, come ci ha insegnato padre Paolo. Nel 1982, prima di fondare Mar Moussa, tra i ruderi del vecchio monastero siriano padre Paolo ha vissuto un’esperienza spirituale molto forte: pregando, ha sentito tre parole e ha intravisto un orizzonte specifico. Ha capito che ci voleva una comunità in quelle zone fondata sulla preghiera, il lavoro manuale e l’ospitalità, nell’orizzonte dell’amore di Cristo per l’Islam. In Siria il carisma ha preso questa forma: nel nostro monastero, restaurato nel 2003, in certi periodi abbiamo accolto ogni giorno oltre 60 persone, tra cristiani e musulmani. Prendono il tè con noi; mentre noi spieghiamo loro il cristianesimo, loro ci spiegano la loro religione. Ci raccontiamo a vicenda la nostra esperienza di Dio. Ecco, il primo passo del dialogo interreligioso è capire che esperienza di Dio fa l’altro. Quando sono arrivato qui è questo che mi ha convinto a restare, il fatto che qui si considerasse seriamente la religiosità dell’altro. E proporrei di abolire il termine «tolleranza»: non si tratta tanto di tollerare o «sopportare» l’altro ma di andare ben più a fondo nelle cose».

Come siete arrivati in Iraq? «È stato il vescovo di Kirkuk, Louis Sako, ancora prima della primavera araba a invitarci. La sfida ci è parsa subito molto grande: a differenza della Siria, l’Iraq non è omogeneo dal punto di vista delle etnie. Poi nel 2014 è iniziata anche l’emergenza profughi. La vicenda del Kurdistan è incredibile: hanno accolto 2 milioni di profughi, molti dei quali legati a Saddam Houssein, quindi al persecutore per eccellenza dei curdi. Noi, come monastero, abbiamo aperto le porte a 250 persone; la Diocesi in cui ci troviamo, in tutto ha accolto 5000 persone e oltre 600 famiglie. Oggi il monastero in Iraq è un luogo di ospitalità per donne e uomini, luogo di discussione sul ruolo della donna nelle comunità locali; luogo di formazione professionale e di educazione dei giovani. Penso in particolare alla nostra scuola di lingua: sin dall’inizio della nostra presenza in Iraq, abbiamo notato che tra la popolazione c’era un problema serio di comunicazione tra le varie etnie, gli Arabi e i Curdi in particolare. Così, come comunità, abbiamo discusso la possibilità di creare una scuola di lingue. Quando nel 2015 è iniziato il flusso migratorio, ai cristiani provenienti dalla Siria abbiamo offerto corsi specifici di curdo, affinché potessero integrarsi il più possibile. Ma nel 2016 abbiamo capito che dovevamo offrire la medesima possibilità a tutti gli Arabi della regione. Infine, dal 2017, offriamo anche corsi di inglese. Oggi la scuola è una vera comunità di persone che vogliono conoscersi reciprocamente. Abbiamo 22 insegnanti».

Come vede il futuro dell’Iraq? «Spero nella convivenza pacifica ma ci sono diversi fattori da considerare. Tutttavia, il Medio Oriente non deve dimenticare che ha saputo per secoli coltivare una convivenza pacifica. In questo senso, si può dire che negli ultimi decenni esso ha perso in qualche molto il contatto con la sua storia plurisecolare, è questo il vero problema. Tanti pensatori sono rimasti affascinati dalla cultura pacifica che si coltivava in precedenza in Medio Oriente. Sarebbe bello che fosse ancora così. Ma, anche in questo caso, non ci sono ricette: ci sono solo incontri da fare e legami da (ri)costruire».

Da ultimo, non possiamo che chiedergli della sorte di padre Dall’Oglio e delle notizie di queste ultime ore: «Non sappiamo molto di più di quello che riportano i mass media. Ma ci terrei a dire che ci sono molti altri ostaggi nella stessa condizione, di cui i mass media dovrebbero parlare!»

Aiuto alla Chiesa che soffre (ACN)
Tra gli obiettivi di Aiuto alla Chiesa che Soffre vi è quello di fare in modo che i cristiani siano presenza viva lì dove abitano e siano autentici testimoni del Vangelo in ogni parte del mondo. ACN è una fondazione di diritto pontificio nata nel 1947 per sostenere la Chiesa in tutto il mondo, con particolare attenzione laddove è perseguitata. L’Opera è stata fondata nel secondo dopoguerra dal monaco olandese Padre Werenfried van Straaten, per aiutare i quattordici milioni di sfollati tedeschi – di cui sei cattolici – in fuga dall’Europa Orientale dopo la ridefinizione dei confini della Germania.
In pochi anni il sostegno di ACN ha raggiunto rapidamente America Latina, Asia e Africa, ed oggi la fondazione pontificia realizza oltre 6000 progetti umanitari e pastorali l’anno in 146 paesi nel mondo.
Nel 1999 l’opera di denuncia della persecuzione religiosa trova un nuovo strumento nel Rapporto sulla Libertà religiosa nel mondo, pubblicato per la prima volta dalla sede italiana di ACN

Il fondatore muore il 31 gennaio 2003 Padre Werenfried muore a Bad Soden vicino Königstein. Al suo funerale, Giovanni Paolo II fa giungere un suo messaggio in cui definisce il monaco olandese «insigne apostolo della carità». ACN ne continua l’opera e nel 2011 viene «premiata» da Benedetto XVI con l’elevazione a fondazione pontificia.

Chiesa cattolica svizzera

https://www.catt.ch/newsi/padre-jens-a-losone-per-capire-i-profughi-bisogna-capire-i-loro-reali-bisogni/