L'invito del Papa alla Chiesa a ripartire ma senza dimenticare

Non è evidente ripartire dopo un gravissimo peccato, se poi di mezzo ci sono andati degli innocenti. Mi pare che sia questa la situazione della Chiesa a poche ore dalla conclusione dell’incontro voluto dal Papa in Vaticano sulla protezione degli abusi. Nel suo discorso conclusivo, Bergoglio però non si è fermato all’impietoso elenco di orrori esteso non solo alle colpe degli uomini di Chiesa ma pure a quelle di una società che invece di proteggere il bambino lo circonda di orchi che si chiamano violenza, pedofilia, morte per fame, tratta di innocenti, mercato di organi, analfabetismo, aborto, guerre, sfruttamento sessuale e via dicendo. Tanti orchi, con un orco che scandalizza tutti, più di tutti perché si presenta sulla scena travestito di bene: gli uomini di Chiesa che si macchiano di questi reati o che li coprono. Alla Chiesa il Papa ha indicato le misure del caso -il Pontefice diramerà a breve nuove norme-, ma ha anche incoraggiato la comunità ecclesiale a ripartire. In quel «ripartire» c’è la consapevolezza che la Chiesa costituita dal popolo di Dio, dalle famiglie, dai laici, da tante donne le cui rappresentanti con voce forte ed autorevole in queste giornate hanno richiamato i vertici alla responsabilità, costituita anche da tanti sacerdoti e religiosi e religiose che in umile silenzio fanno il loro lavoro, non può perennemente restare ostaggio dello scellerato o malato che sia, comportamento di pochi orchi o di quelle persone che confondono ancora il potere con il servizio. Le vittime ascoltate in questi giorni dal Papa e dai delegati presenti, sono in un certo senso già un primo esempio di ripartenza, soprattutto quelle che alla rinascita hanno voluto – potuto credere. Sorte diversa, ahinoi molto più triste è occorsa a coloro che sono finiti vittima due volte di questi reati, non essendo stati aiutati da nessuno a rilanciare la loro vita, ma abbandonati ad un destino segnato per sempre, in modo crudele, dalla altrui violenza. Ma ora, dopo tante condanne, dopo provvedimenti presi fin dagli inizi di questo dramma venuto soprattutto alla luce grazie all’indagine dei Media americani, nel 2002, dopo un’infinità di carte, di norme, dopo fiumi di documenti pubblicati e di imminente pubblicazione, si deve dire che la Chiesa per forza deve abbracciare la svolta. Perché da questo incontro in poi l’unica possibilità che la Chiesa ha per riacquisire credibilità agli occhi di tanta gente, è quella di ripartire bene. Ma quale ripartenza? Non è una dimenticanza del proprio errore, cosa che sarebbe semplicemente peggio dell’errore stesso. La ripartenza, porta le cicatrici dell’errore procurato agli altri, ha la memoria storica di questo dolore fatto subire a tanti innocenti, mostra pentimento, ha la consapevolezza che ci sono cose da cambiare ed ha il desiderio e la volontà di farlo. In questi mesi e giorni abbiamo sentito, infatti, più volte, affermare che il male che ha dato origine soprattutto al sistema di coperture è il clericalismo che prende la forma di abuso di potere. Una mentalità autoritaria che va combattuta. L’antidoto a questo clericalismo è la sinodalità, un modo meno piramidale e più comunitario, più secondo la Chiesa del Concilio di essere comunità ecclesiale. Senza dimenticare, ce lo auguriamo, la voce delle donne. Quindi si ripartirà ma non per fotocopiare la situazione di prima. In gara -l’atletica lo insegna- esiste un numero massimo consentito di false partenze, dopo il quale si finisce eliminati. Speriamo quindi che questa sia l’ultima ripartenza: quella valida.

Chiesa cattolica svizzera

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