Giovani israeliani e palestinesi insieme nel nome di San Giovanni Paolo II

È un approccio che sa abbracciare tutti i problemi della società palestinese quello dei Francescani in Terra Santa, dove sono presenti da oltre 800 anni. Padre Ibrahim Faltas, francescano di origini egiziane, invitato a testimoniare durante la festa della Missione Cattolica di Lingua Italiana nel Canton Lucerna, è nostro interlocutore privilegiato: attualmente, infatti, è consigliere del Custode di Terra Santa, coordinatore di tutte le scuole del posto, nonché responsabile del dialogo con le autorità palestinesi.

Padre Ibrahim, con quali problemi vi trovate confrontati, come Francescani, a Gerusalemme? «La città ha ancora tanti problemi, per questo offriamo una molteplicità di servizi alla popolazione: educhiamo le giovani generazioni con ben 15 scuole, mentre con quasi 800 case offriamo invece alloggio gratuito alle famiglie, in una città dove il costo degli affitti è insostenibile. Inoltre, lavorano per noi 2000 persone. È un modello di sostegno che applichiamo anche altrove, ad esempio in Siria. E ci terrei a sottolinearlo: a costo della vita. Da quando siamo qui, sono oltre 2000 i frati uccisi».

Padre Ibrahim, nel 2002, chiamato in causa da san Giovanni Paolo II, ha fatto anche da mediatore tra gli israeliani e i palestinesi durante l’assedio della Basilica della Natività a Betlemme. «Ero insieme a 30 confratelli, potevamo morire tutti, ma alla fine la mediazione è riuscita». Dopo questo episodio i Francescani hanno dato vita ad una Fondazione dedicata proprio a san Giovanni Paolo II, che si occupa delle giovani generazioni.

Ma come si affronta oggi la sfida educativa a Gerusalemme? «Con il progetto «Educare alla pace» organizziamo dei viaggi affinché i giovani possano essere educati alla «mondialità». Inoltre, ci rechiamo con loro in Giappone nei giorni in cui si ricorda Hiroshima, perché constatino quanto male può fare la guerra se non viene fermata. E c’è una cosa che va detta: durante questi viaggi, i giovani israeliani e palestinesi socializzano molto facilmente; per noi è una conferma del nostro lavoro».

San Giovanni Paolo II sosteneva che non avere pace a Gerusalemme significa non averla in tutto il mondo… «Effettivamente, la comunità internazionale dovrebbe occuparsi di più di noi. Tuttavia, i media spesso si concentrano sul male, ignorando il resto. Ad esempio, bisognerebbe parlare del grande favore che ha incontrato la Dichiarazione di Abu Dhabi firmata da Papa Francesco pochi giorni fa. Ha avuto una grande eco dalle nostre parti».

La Svizzera ha qualche responsabilità? «Dalla Svizzera vengono ancora pochi pellegrini a darci sostegno, sarebbe bello che il numero aumentasse».

Laura Quadri

Chiesa cattolica svizzera

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