Partire dalla meta

Non vi è mai capitato da bambini d’inventare una lingua segreta, che gli adulti non potevano capire?
Mi viene sempre in mente questo gioco, quando leggo dei testi biblici apocalittici. Si tratta, infatti, di un linguaggio simbolico, di immagini che dobbiamo decodificare.
Anche di fronte a tanti eventi della storia, alle vicende della nostra vita e del mondo vorremmo trovare la giusta chiave di lettura, il codice che ci possa aiutare ad interpretare e a dare nome a tutte le cose.
«Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» (Mt 24,35). L’ultima parola in cielo e sulla terra, nella lotta tra il bene e il male, nella scelta tra la vita e la morte, ce l’ha Dio! È una parola che non passa!
Nell’ultimo libro della Bibbia, l’Apocalisse, troviamo un grande simbolo: la città che scende dal cielo (Ap 21,2). In essa si rivela quale sia il piano finale, il sogno che Dio ha per il futuro dell’umanità. In questa città tutti gli uomini convivono nella pace, in una molteplicità di popoli e culture riconciliati: «Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio» (Ap 21,3).
Il sogno di Dio è, quindi, che noi esseri umani, diversi tra noi, ci riconosciamo come suoi figli e figlie e, dunque, come fratelli e sorelle. Siamo tutti figli di Dio e per questo membri di un’unica famiglia!
Possiamo incamminarci con fiducia verso questo futuro e anzi da questa meta possiamo anche partire già da ora, mentre siamo su strada, come persone, società e umanità. Non dobbiamo avere paura! Là dove muoviamo dei passi verso gli altri, li incontriamo con apertura e senza prevenzioni, già si sta realizzando questo sogno.
Per sperimentare la varietà dei popoli che appartengono all’unica umanità non è necessario viaggiare verso Paesi lontani. È presente nelle nostre famiglie, comunità, sul posto di lavoro, nel tempo libero e anche nella chiesa! Dovremmo incontrarci alla pari, come persone che sono in cammino insieme e non divisi tra coloro che sono bisognosi e solo ricevono e coloro che possiedono e devono dare qualcosa dei loro beni.
Sempre mi commuove profondamente la testimonianza di persone che hanno perso tutto: patria, famiglia, beni, una rete sociale e che condividono con me la loro ricerca di vita e la loro fede.
Sono esperienze che ci parlano di una grande umanità e fiducia in Dio.
È importante in tutte le occasioni creare ponti tra autoctoni e immigrati, imparando gli uni con gli altri e gli uni dagli altri a incontrarsi con stima nei luoghi della nostra vita quotidiana e anche nella chiesa, mettendoci in gioco anche con la nostra fede per un futuro comune. In questo, nessuno gioca in trasferta, ma tutti giochiamo in casa!
Sì, per realizzare il suo sogno Dio conta su ciascuno di noi. Partendo da questa consapevolezza posso guardare me stessa e ogni persona in modo nuovo.

Christiane Lubos

Chiesa cattolica svizzera

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