Quando i Papi ripensano l’agricoltura

I primi ad ascoltare la sua predicazione furono i pescatori, ma in molti discorsi e parabole Gesù fa riferimento al lavoro nei campi e agli agricoltori. Nel Magistero dei Papi dell’ultimo secolo l’agricoltura e l’attenzione al creato e ai frutti della terra hanno un posto rilevante e poco conosciuto. Alla diocesi di Jesi un convegno intitolato «Quale agricoltura per la casa comune» affronta il tema incrociando le riflessioni di esponenti del mondo ecclesiale, economico e politico, come il cardinale e arcivescovo emerito di Ancona-Osimo Edoardo Menichelli, il presidente del Consiglio regionale delle Marche, Antonio Mastrovincenzo, l’industriale Andrea Pieralisi, il sindaco di Fabriano, Gabriele Santarelli.

Dalle leghe agricole dell’epoca di Leone XIII alla Laudato si’ di Francesco il settore primario ha sempre avuto un ruolo centrale nella dottrina sociale della Chiesa, con effetti storicamente molto rilevanti sull’impegno dei cattolici nella vita pubblica a partire dalla cooperative «bianche» di inizio Novecento. Una particolare sensibilità per il mondo agricolo è stata manifestata da Giovanni XXIII, il pontefice che non ha mai dimenticato le sue origini contadine. Giovanni, il fratello del Papa canonizzato da Francesco, fu il primo presidente della Coldiretti di Sotto il Monte, ruolo poi ricoperto anche dal nipote Angelo. La considerazione verso l’attività agricola è un elemento che accomuna tutti i pontefici del Novecento.

Come documentato da Luciano Costa nel libro »Discorsi ai coltivatori della madre terra», Paolo VI, anche per tradizione e cultura familiare, ha sempre avuto un occhio di riguardo per «l’antico e sacro mestiere» dei coltivatori nei quali vedeva, per la loro esperienza diretta, «la condizione di abitatori della campagna e di conoscitori del suolo, del clima, delle stagioni e del cielo». Nei quindici anni del suo pontificato, Papa Giovanni Battista Montini si è rivolto più volte ai quadri dirigenti della Coldiretti, l’organizzazione cattolica che per statuto «ispira la propria azione alla storia e ai principi della scuola cristiano-sociale».

Nel 1972, in occasione del loro 32° congresso nazionale, Paolo VI raccomanda agli agricoltori cattolici di «conservare gelosamente il patrimonio dei valori spirituali propri della gente dei campi, di un Paese cattolico: l’amore alla natura, il culto della famiglia unita, sana, numerosa, onesta, laboriosa, e specialmente la fede religiosa dei vostri padri». Dalle proprie origini nella rurale Wadowice, Karol Wojtyla trae un’accentuata sollecitudine per i lavoratori dei canti che trovò espressione soprattutto nel Giubileo del mondo agricolo celebrato a San Pietro il 12 novembre 2000. Sulle orme dei suoi predecessori, Giovanni Paolo II riconosceva come la fedeltà di Dio sia per «gli uomini del mondo agricolo» un’esperienza quotidiana, costantemente ripetuta nell’osservazione della natura. «Voi conoscete il linguaggio delle zolle e dei semi, dell’erba e degli alberi, della frutta e dei fiori- affermò nell’omelia della solenne cerimonia -. Nei più diversi paesaggi, dalle asprezze montuose alle pianure irrigate, sotto i più diversi cieli, questo linguaggio ha il suo fascino, a voi tanto familiare».

A indicare il percorso per rivalutare l’apporto sociale dell’agricoltura è stato anche Benedetto XVI. «La crisi economica ha numerose cause e manda un forte richiamo a una revisione profonda del modello di sviluppo economico globale – evidenziò Joseph Ratzinger all’Angelus del 14 novembre 2014 -. La crisi è un sintomo acuto che si è aggiunto ad altri ben più gravi e già ben conosciuti, quali il perdurare dello squilibrio tra ricchezza e povertà, lo scandalo della fame, l’emergenza ecologica e, ormai anch’esso generale, il problema della disoccupazione». Benedetto XVI chiese per questo motivo una «revisione profonda del modello di sviluppo globale». Serve un «rilancio strategico dell’agricoltura, non in senso nostalgico ma come risorsa indispensabile per il futuro» e «non pochi giovani hanno già scelto questa strada; anche diversi laureati tornano a dedicarsi all’impresa agricola, sentendo di rispondere così non solo ad un bisogno personale e familiare, ma anche a un segno dei tempi, ad una sensibilità concreta per il bene comune».

Tre anni fa, Francesco, nel 70° anniversario della Coldiretti, mise in guardia dalla tentazione di «vendere la madre Terra» e, come teorizzato compiutamente nell’enciclica Laudato si’, lancia la sfida di «realizzare un’agricoltura a basso impatto ambientale nell’epoca del cambiamento climatico», ribadendo che «coltivare è un’attività tipicamente umana e fondamentale». Nel lavoro degli agricoltori c’è, secondo Jorge Mario Bergoglio, «l’accoglienza del prezioso dono della terra che ci viene da Dio, ma c’è anche la sua valorizzazione nell’operare altrettanto prezioso di uomini e donne, chiamati a rispondere con audacia e creatività al mandato consegnato da sempre all’uomo, quello di coltivare e custodire la terra». Francesco è altresì preoccupato dal fenomeno del «landgrabbing» cioè dall’utilizzo dei terreni fertili per produrre biocarburanti e deplora la «già troppo diffusa sottrazione di terra all’agricoltura per destinarla ad altre attività, magari apparentemente più redditizie: anche qui domina il dio denaro». E il paragone del Papa che arriva «quasi dalla fine del mondo» è con «quelle persone che non hanno sentimenti, che vendono la famiglia, vendono la madre, ma qui è la tentazione di vendere la madre terra».

(Vatican Insider)

Chiesa cattolica svizzera

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