Padre Cervellera a Lugano: «c'è una grande sete di spiritualità nei giovani cinesi»

Martedì sera, padre Bernardo Cervellera, direttore di AsiaNews.it – in un’iniziativa promossa dall’Associazione Culturale Ticino-Cina assieme al gruppo di preghiera per i cristiani perseguitati «OgniVentialleVenti – è stato a Lugano, in piazza San Rocco alle 20, per portare la propria testimonianza sulla situazione dei cristiani in Asia, una questione di massima importanza, perché, come ci dice, " l’80% dei non cristiani si trova in Asia, terra per altro dove le varie minoranze cristiane presenti sono anche molto vivaci, contraddistinte da una forte spinta evengelizzatrice». Lo abbiamo avvicinato qualche ora prima per un’intervista:

Padre Cervellera, di recente, abbiamo visto la partecipazione di due Vescovi cinesi al Sinodo sui giovani e il discernimento. Che tipo di partecipazione è stata?
«È stata una presenza, direi, molto commovente. Nei Sinodi precedenti il governo cinese, infatti, non aveva dato il suo consenso alla partecipazione dei Vescovi cinesi. Pertanto, questa volta, abbiamo assistito a qualcosa di assolutamente unico, sebbene non siano mancate alcune ombre: i due Vescovi cinesi, infatti, a metà Sinodo hanno dichiarato di avere impegni più urgenti e, come sappiamo, sono rientrati in Cina. Inoltre, bisogna interrogarsi su quanto questi due Vescovi, legati strettamente alla burocrazia ecclesiastica cinese, siano rappresentativi dell’intera Chiesa cinese, in particolare dei Vescovi sotterranei. Insomma, direi che il contributo della Cina al Sinodo c’è stato, ma è anche stato impostato in modo molto formale».
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«Ciò non toglie, che per i giovani cinesi fa sicuramente molto bene sapere che la Chiesa abbia riflettuto anche sulla loro situazione. Infatti, in Cina i giovani vivono in un contesto di forte competitività, dovute al mercato del lavoro, a tal punto che essi sono molto diffidenti gli uni gli altri. Lo scopo della Chiesa in Cina, allora, è proprio questo: aiutare i giovani a collocare la dimensione lavorativa in una vita piena di senso, nonché creare un luogo di dialogo, in una società dove, come dicevo, non ci si fida mai abbastanza l’uno dell’altro. La presenza del Partito comunista fa sì che, potenzialmente, ogni persona possa trasformarsi in una spia. La Chiesa, invece, insegna a mettersi al servizio del prossimo».

«L’ideologia comunista fa altresì in modo che, al di là di quello che si possa pensare, il popolo cinese nutra una grande sete religiosa e sia in costante ricerca di valori fondanti. Il comunismo, in realtà, è al tramonto, ma la scia di materialismo sul quale è impostato ha lasciato una scia, un solco di vuoto profondo. E allora i giovani si avvicinano sempre di più alla Chiesa; una recente statistica parlava di oltre il 60% di giovani che nelle università e nelle scuole di Pechino e Shangai desiderano conoscere meglio il cristianesimo. La reazione del Partito comunista è sintomatica: cerca, per contro, di far sì che nei contesti educativi si parli sempre di meno di questioni religiose e obbliga i professori a dichiararsi atei».

Quanto all’accordo provvisorio istituito dal Vaticano, che ne pensa? Dove sta la sua «provvisorietà»?
«Anzitutto, l’accordo è provvisorio perché totalmente concentrato su di un’unica questione, ovvero la nomina dei Vescovi cinesi; dichiara cioè che non ci può essere cristianesimo senza un legame con il Papa. Ma lascia molte cose in sospeso: ad esempio, non spiega come dovrebbero essere presentati i candidati all’episcopato al Papa. Inoltre il governo cinese è lungi dal riconoscere questi Vescovi. Il tutto è reso più complesso dalla presenza dell’Associazione patriottica, che esercita con una modalità spasmodica il controllo sullo sviluppo delle comunità cristiane. Il suo ruolo, a mio modo di vedere, avrebbe bisogno di essere ridefinito: essa dovrebbe sottostare ai Vescovi, invece di voleri sottomettere».

«Il Papa in Cina? Al momento, con il clima di astio promosso proprio dall’Associazione patriottica, direi che è improbabile, pur rimanendo sicuramente un forte desiderio di papa Francesco. La ricerca religiosa dei giovani ticinesi ne avrebbe bisogno«.

C’è anche la questione delle minoranze musulmane perseguitate…
«Esatto. Da una parte abbiamo i musulmani che discendono dai mercanti arabi del IX secolo, che impauriscono il Governo perché negli ultimi tempi stanno intraprendendo massicci pellegrinaggi alla Mecca, il che potrebbe essere sintomo di un rinnovato radicalismo. D’altra parte abbiamo un’etnia di origine turcofona che sta lottando per l’autonomia della sua regione, dunque la loro repressione è una questione più strettamente politica. Il Governo, nei loro confronti, esercita diverse misure restrittive: dal controllo dei passaporti alla schedatura del DNA, senza contare i campi di lavoro forzati, che l’Associazione patriottica maschera sotto il termine di campi di «addestramento professionale». Ne sono toccato oltre un milione e mezzo di musulmani. Infine, dal 1 febbraio di quest’anno sono entrate in vigore delle nuove regole di restrizione dell’attività religiosa. Non si contano più le testimonianze che riceviamo da comunità in difficoltà».

Durante la serata, consacrata simbolicamente al tema Cina e dintorni: Cristo e l’Asia, padre Bernardo ha quindi chiarito al pubblico di fedeli ticinesi qualche ulteriore aspetto, partendo dalla sua vocazione:

«Il giorno stesso della mia ordinazione, mi hanno detto che sarei diventato giornalista e mi hanno inviato al Centro Missionario di Milano, dove ho imparato il mestiere. Per me è stato quasi un miracolo: il giornalismo è uno strumento di consocenza, ti permette di abbracciare la vita delle persone, il che è importantissimo, ti permette di conoscere ma anche di comunicare cose che la gente vive. La forza di AsiaNews è proprio questa: quella di portare nella vita delle persone le testimonianze dei cristiani in Siria, in Iraq, in Cina e così via. Ed è anche uno strumento di evangelizzazione perché uno può chiedersi, di fronte a testimonianze così forti: a che punto è la mia fede? A che punto è la mia umanità?»

«Poi sono arrivati in Europa gli echi del massacro di Thienannen.E ho detto: mandatemi in Cina. Queste situazioni cosi dolorose richiedono la presenza della fede. Come ci si risolleva dopo massacri simili? Io volevo verificare se davvero il cristianesimo può essere anche la salvezza della Cina. Perché la storia della Cina è fatta di grande cose e di grandi scoperte, almeno fino al 1600, ma anche di una serie di grandi massacri, di grandi dolori come le carestie, senza contare la tragedia del maoismo. Secondo gli studiosi sarebbero morti di fame oltre 35 milioni di persone a causa del regime. E io volevo sapere se Gesù può rispondere a tutto questo. Ma oggigiorno in Cina si tenta un’altra strada: si cerca di far dimenticare alla gente le lacrime versate attraverso il benessere, che c’è per molti ma non per tutti. Ma, fortunatamente direi, c’è anche tanta gente inquieta, che chiede maggiore senso nella vita. Ed è una cosa incredibile se ci pensate: dopo un migliaio di anni di ateismo neoconfuciano, 70 anni di comunismo e di ateismo insegnato nelle scuole, 30 di comunismo e di materialismo il più smodato, c’è ancora gente che si chiede perché vive. Oggi, c’è quindi una rinascita religiosa che è impressionante».

E qui arriva il nodo della questione:
«La rinascita religiosa fa paura al partito comunista, perché le religioni insegnano a fidarsi di qualcosa che non è concreto, la libertà, che non è comprabile e dipende direttamente da Dio. Questa cosa spaventa molto. Perché il cattolicesimo è dipendeza da Dio ma anche dal Papa. La paura più grande di tutti comunque è di finire come l’URSS, di fare la stessa fine. Fanno dei congressi su questo. Secondo le loro analisi, ci furono tre elementi che fecero capitolare l’URSS: la critica del partito (che quindi è da mettere a tacere subito); i sindacati liberi, che portano a non avere più potere sulla popolazione (ed è quindi ammesso un solo sindacato di tipo statale, che faccia da mediatore ufficiale tra azienda e mondo operaio) e, infine, come causa del crollo dell’URSS, niente meno che San Giovanni Paolo II, il quale per i cinesi è davvero la peste che ha fatto cadere l’Unione sovietica. Per questo ancora oggi del Papa non si può parlare. Uno studente mi ha avvicinato e mi ha chiesto, con convinzione: «Ma è vero che il Papa vuole far cadere la Cina?». Ecco, sono questi i cliqué che circolano attualmente».

Ma come vivono i cattolici fedeli al Papa in Cina?
«I nuovi regolamenti religiosi messi in atto a febbraio, permettono edifici e azioni di culto, raduni e persino scuole cattoliche (ma solo per adulti). Ci sono le chiese, molte delle quali sono state restaurate. C’è questa libertà, effettivamente, ma tutto è controllato, anche con le videocamere in chiesa. Viviamo insomma di paradossi. Senza parlare della pretesa dell’Associazione patriottica di decidere chi sia un candidato idoneo al presbiterato. Come fa un’Associazione simile a vagliare una vocazione? È impensabile! Ma tutto questo accade a quelle comunità cristiane che hanno accettato l’adesione all’Associazione. Pensate allora cosa accade alla Chiesa sotteranea, che invece non vuole essere controllata…Essa è tollerata solo in quanto porta avanti delle inziative socialmente utili. Ma adesso, dopo l’Accordo con il Vaticano, l’Associazione patriottica va in giro costringendo i Vescovi a sottomettersi, come è successo di recente [METTERE NOTIZIA]. Il Vescovo viene preso dall’associazione, prelevato e indottrinato e non può fare il Vescovo. Per i Vescovi sotterranei è così. «
E da ultimo, un pensiero per Asia Bibi:
«Ricordiamoci – dice Cervellera – che quando preghiamo, non lo facciamo soltanto per le vittime, ma anche per i persecutori. Un martire è il concentrato di una situazione difficile. Asia Bibi, nello specifico, è il concentrato di una contraddizione interna al governo e alla popolazione. Ma anche segno di speranza che dà Dio in una situazione così, che ci spinge a chiedere al Signore di avere la stessa fede, lo stesso coraggio, la stessa limpidezza. E quando dico coraggio, lo intendo per davvero. Spesso, nei luoghi di guerra più disastrati, ci sono cristiani che, come prima cosa dopo un bombardamento, non pensano a ricostruire le loro case, bensì vanno in strada e partono da lì con la ricostruzione, dai luoghi pubblici. Ricordo le suore carmelitane di Beiruth, durante la guerra: sempre, dopo una nottata di bombe, si riunivano e si mettevano a pulire! Perché? Per dare un segno che la vita deve continuare. Non come in Occidente, dove ci si piange addosso. Paradossalmente piangiamo più noi. Dove abbiamo messo la speranza più grande?»

Chiesa cattolica svizzera

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