La fede cristiana e la Chiesa di Gesù Cristo hanno un futuro per i giovani di oggi e di domani?

«Chi vuole andare veloce, corre da solo; chi vuole andare lontano, cammina con altri»: ecco un antico adagio che papa Francesco ha ripreso ieri davanti a decine di migliaia di giovani a Roma, al Circo Massimo, in vista del prossimo sinodo dei Vescovi concernente il loro presente e il loro futuro. Si tratta di un’affermazione che coinvolge ogni persona, che esprime una convinzione chiara di papa Francesco e di tutti coloro che cercano di essere donne e uomini esistenzialmente autentici.

Dal Vangelo di Marco alla vita

In questa linea, continuando il percorso iniziato in primavera su catt.ch, facciamo un secondo passo nel vangelo secondo Marco, sempre partendo dall’interrogativo che dà il titolo a questa serie di contributi: la fede cristiana e la Chiesa di Gesù Cristo hanno un futuro per i giovani di oggi e domani? I racconti di miracolo sono molti nel testo marciano, in proporzione più di quanti siano presenti nelle altre versioni evangeliche canoniche. Il fatto che si fondino su fatti realmente verificatisi è sostanzialmente impossibile da dimostrare, quantunque siano maggiori le probabilità per guarigioni ed esorcismi, di cui non vi sono soltanto varie narrazioni specifiche, ma anche numerose citazioni nei testi evangelici in cui si riassume come viva ed operi Gesù di Nazareth.

In Marco 5,21-43 si legge: «21Essendo passato Gesù di nuovo nella barca di qua del lago, si radunò molta folla vicino a lui, ed egli stava lungo il mare. 22E giunge da lui uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, e, vedendolo, cade ai suoi piedi 23e lo supplica molto, dicendo: «La mia figlioletta è alla fine; vieni a imporre le mani su di lei perché sia salva e continui a vivere!». 24E Gesù partì con lui. Molta folla lo seguiva e premevano su di lui. 25E una donna che era in stato di emorragia da dodici anni 26e che aveva molto sofferto per opera di molti medici e aveva speso tutte le sue sostanze e non aveva avuto alcun giovamento, ma piuttosto era peggiorata 27dopo aver udito (parlare) di Gesù, era venuta tra la folla e da dietro toccò la veste di lui. 28Ella infatti andava dicendo: «Se riuscirò a toccare almeno le sue vesti, sarò salvata». 29E immediatamente si seccò il flusso del sangue suo ed ella riconobbe con il corpo di essere stata guarita dalla (sua) dolorosa malattia. 30E subito Gesù, avendo percepito in se stesso la forza che era uscita da lui, voltatosi tra la folla, disse: «Chi ha toccato le mie vesti?». 31E i suoi discepoli gli dissero: «Guardi la folla che ti schiaccia e ti metti a dire: «Chi mi ha toccato?!». 32Ed egli si guardava intorno per vedere colei che aveva fatto questo. 33La donna, però, avendo paura e tremando, poiché sapeva ciò che le era capitato, giunse e gli cadde davanti e disse a lui tutta la verità. 34E Gesù disse a lei: «Figlia, la tua fede ha salvato te; va’ pure in pace e sii guarita dalla tua dolorosa malattia». 35Mentre egli stava ancora parlando, dalla casa del capo della sinagoga vengono a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». 36Ma Gesù, dopo aver udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». 37E non permise che nessuno si accompagnasse a lui tranne Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. 38Giungono alla casa del capo della sinagoga ed egli vede trambusto e gente che piangeva e urlava forte. 39Entrato, dice loro: «Perché fate tanto strepito e piangete? La fanciulla non è morta, ma dorme». 40Ed essi lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entrò dove ella era distesa. 41Presa la mano della fanciulla, le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciullina, io ti dico, alzati!». 42Subito la fanciullina si alzò e si mise a camminare; aveva infatti dodici anni. Ed essi subito uscirono grandemente fuori di sé. 43Gesù fece loro molte raccomandazioni affinché nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare».

La pastora battista Lidia Maggi, commentando questo brano (cfr. MARCO. Nuova traduzione ecumenica commentata, pp. 78-82) , così si esprime:

«Due donne sono al centro della scena in cui Gesù opera. Per comprendere la portata della narrazione, è necessario ricordare le fasi biologiche che caratterizzano la vita di una donna, ovvero il passaggio dall’età infantile alla pubertà con il menarca e il periodo di fertilità. Tali condizioni, benché naturali, non sempre fluiscono. Il corpo può ammalarsi e la vita rimanere bloccata, fino a generare morte. Il tema del futuro chiuso, messo in scena nella narrazione veterotestamentaria attraverso la sterilità delle matriarche (cfr. Gen 11,30; 25,21; 29,31), qui viene di nuovo affrontato, mettendo al centro del racconto il corpo delle donne. In questa sezione, Gesù incontra una donna anonima che perde continuamente fluido vitale, sangue (simbolo della vita); e una bambina, il cui processo di crescita appare bloccato, fino a morire, alle soglie della pubertà. Le due storie si intrecciano in un unico racconto, con al centro il corpo femminile, che richiama il corpo collettivo della Figlia di Sion. Il narratore crea un incastro tra le due vicende attraverso rimandi letterali e non solo. In un gioco di scatole cinesi, dentro la prima storia, si cela l’altra.

  1. 21-22: dopo la liberazione operata in terra straniera, Gesù torna all’altra sponda del lago, in terra d’Israele, dove viene interpellato da un capo della sinagoga, Giàiro, affinché venga a salvare la sua figlioletta morente. Il cammino di Gesù verso la casa di questo personaggio pubblico viene interrotto per l’iniziativa di una donna anonima, resa impura dalla sua malattia.
  2. 23-34: a differenza del padre, la donna agisce di nascosto. Il racconto mette in scena due personaggi opposti, dalla differente posizione socio-religiosa. Un uomo, di cui ci viene detto il nome, con un ruolo riconosciuto, da una parte; una donna, di cui non sappiamo nulla se non intuire che la sua condizione d’impurità la rende impossibilitata ad agire pubblicamente, dall’altra. Due vicende differenti che il racconto intreccia con molteplici fili. In entrambe le vicende vi è un’esigenza di salvezza (vv. 23.28.34), espressa col cadere ai piedi di Gesù (vv. 22.33), accolta da Gesù, il quale soltanto domanda fede nel suo agire salvifico (vv. 34.36), una fede più forte della paura (vv. 33.36). Inoltre, le due donne guarite sono accomunate dall’essere chiamate «figlia» (vv. 34.35) e da quei dodici anni che indicano il tempo della malattia della donna anonima e l’età della figlia di Giàiro (vv. 25.42). Tutti questi elementi invitano a leggere insieme le due vicende, interrogandosi sulla loro relazione e sull’incremento di senso offerto da un tale racconto speculare, anche nella voluta sottolineatura della differenza dei due interlocutori di Gesù. I quali, per motivi opposti, devono forzare il loro ruolo pubblico e mettersi rischiosamente in gioco: Giàiro, unico capo religioso che nel racconto di Marco si rivolge a Gesù per supplicarne l’intervento; la donna, resa impura dalla sua emorragia (cfr. Levitico 15,19-33) e, dunque, interdetta dal toccare altre persone.

Due situazioni estreme: la piccola, in fin di vita (v. 23); la donna, che soffre molto, nonostante i molti medici consultati (v. 26). Affrontate con gesti estremi: l’umiliazione di Giàiro, che si prostra e supplica molto (vv. 23-24); il contatto furtivo, ricercato intenzionalmente dalla donna (v. 27).

Il risultato dell’azzardo di entrambi è sorprendente. Si ferma il flusso di sangue della donna, la quale esce dal silenzio vergognoso e dice tutta la verità (v. 33). Una trasformazione che coinvolge l’intera sua persona, e non solo l’organo malato; che fa di questa donna non soltanto una persona guarita ma anche salvata. Un cambiamento provocato sia da Gesù che dalla fede della donna, che restituisce quest’ultima alla vita, come se fosse avvenuta una nuova nascita, allusa dall’appellativo rivoltole da Gesù: Figlia (v. 34).

  1. 35-38: Dopo la pausa provocata dall’intrusione della donna emorroissa, il filo del racconto riprende a narrare il cammino di Gesù e di Giàiro verso la casa dove giace la figlia del capo della sinagoga. La scena si complica per l’annuncio della morte della piccola. Gesù domanda a Giàiro una fede perseverante, che non cede nemmeno di fronte alla morte. E’ accompagnato dai tre discepoli, che saranno con Lui anche al momento della trasfigurazione (9,2) e nel Getsemani (14,33): un segnale dell’importanza di quanto sta per succedere, anticipo di un’altra morte e di un’altra resurrezione.
  2. 39-43: Ciò che viene giudicata come situazione di morte, è nominata da Gesù come un dormire (v. 39), a cui segue un risvegliarsi (v. 41). L’intero episodio all’interno della casa non ha nulla di straordinario. Anche la parola detta da Gesù, e conservata dal narratore nella lingua originale: Talità kum (v. 41), non ha nulla di magico; semmai è parola performativa, che compie quanto afferma: la ragazza si alza, cammina e mangia (vv. 42-43). Ed è solo a questo punto che il narratore reticente fornisce l’indicazione dell’età della risvegliata: aveva dodici anni (v. 42).

La coincidenza numerica tra l’età della ragazza e il periodo di malattia della donna suggerisce al lettore di cercare un senso che risulti comune ad entrambe le situazioni. A dodici anni, in Israele, una ragazza viene ritenuta capace di un’esistenza autonoma, in quanto in procinto di diventare donna. I dodici anni precedenti, dunque, indicano una dipendenza che non consente una vita propria. Una medesima condizione è sperimentata dalla donna che soffre di emorragia cronica, impossibilitata dallo stato di impurità a vivere una vita feconda e relazionale. Entrambe, dunque, vengono restituite alla vita, mettendo fine alla dipendenza da medici (v. 26) e dai genitori (si veda l’insistenza sul pronome possessivo da parte del padre e della folla: vv. 23.35)».

Quale è il significato fondamentale di questo incrocio narrativo? Fidarsi dell’amore di Dio e del fatto che esso possa migliorare radicalmente la vita propria e altrui: questo è il valore propositivo essenziale di questi due splendidi racconti. A partire da essi non si deve essere spinti, mi pare, a cercare il miracolo fuori dalla normalità umana, ossia la verificabilità diretta degli eventi narrati, ma a capirne il valore intimamente simbolico: fare tutto quanto è possibile per avere e dare coraggio verso un tipo di amore fedele e quotidiano, mostrandosi fattivamente solidali verso chi è in difficoltà, aiutando a fermare «emorragie» di risorse da qualcuno tali da fargli perdere la speranza di vivere davvero o a far «risvegliare» qualcun altro che pare vivere un’esistenza assopita al punto che paia impossibile ridestarla. La fiducia in questo amore radicalmente esistenziale deve essere la base per la vita della e nella Chiesa? Se ai giovani non si offrono testimonianze in tal senso, come si può pretendere che individuino una loro vocazione esistenziale di fondo? Lasciamo le risposte a lettrici e lettori, dai giovani a ogni altro…

Chiesa cattolica svizzera

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