Scintille di vita dopo un'operazione

In questi giorni ho letto che Bob Marley pensava che si potessero curare il razzismo e l’odio, letteralmente curare, tramite delle iniezioni di musica e amore nella vita delle persone. E si racconta di come un giorno in cui doveva suonare a una manifestazione per la pace, alcuni uomini per intimidirlo andarono a casa sua e spararono. Due giorni dopo lui salì sul palco comunque e cantò. Qualcuno gli chiese il perché e lui rispose: «Perché se le persone che cercano di peggiorare questo mondo non si concedono mai un giorno libero, come potrei farlo io?». Questo concetto per me è profondamente vero e profondamente giusto.

Non voglio lasciare nulla di «non tentato» che anche solo teoricamente porti buoni frutti, non voglio smettere di credere che persino quando qualcosa sembra destinato a morire non possa  comunque avere speranza e contenga in se vita, e soprattutto non voglio rassegnarmi mai a lasciar andare, non senza averci almeno provato.

Tutto questo è parte di una legge cosmica dite? Può essere, ma vorrà dire che anche in questo sono -per fortuna- un’eccezione.

Posso dire d’aver incrociato tanti volti nella mia vita a cui ho quasi sempre sorriso persino quando è costato farlo, ho celebrato storie in bilico, sono stata sinceramente convinta delle possibilità date a giornate senza senso, io che sono sempre stata fiera del mio cuore di bambina e delle mie gambotte malferme, anche quando tremano ricordando, io con le mie vene che non si nasconderanno più, io con i pensieri che si intrecciano e sono fatti di silenzio e zucchero grezzo.

Io non riesco ad accettare che alcune persone sono destinate soltanto a sfiorarmi il cuore, per il tempo di un sorriso, di uno sguardo, di un momento che sa di confessione sincera. Perché sì, esistono persone che ci scavano dentro, salvandoci la vita, che ci accolgono, che vorresti smettere di guardare e semplicemente non puoi, perché hanno preso con sé, la parte migliore di te. La cosa difficile di tutto questo è che sai già che non durerà. Che dopo un altro tempo ti piomberà sulle spalle e peserà, perché il dopo c’ `è sempre: il momento in cui ti rendi conto che certi incantesimi, certe profonde cavità d’amore donato, mica durano. Perché io lo so che certe magie hanno la consistenza delle carezze sul naso che mi facevano sentire amata da bambina, di cancellature su lettere d’amore inesistenti, sono baci sulla fronte mai dati, strette di mano timide timide, con le dita che si annodano, tanto quanto il battito. Sono momenti in cui non c’entra niente l’attesa, la testardaggine: sono regali immensi che ci vengono fatti-al di fuori di qualsiasi natale- e che non esiste nemmeno il pensiero che è il caso di non vivere. Per questo è bene andare in giro con «l’abbraccio aperto» e «i palmi pronti» perché nonostante tutto, mica lo sai, quello che può succedere.

E può accadere che, una mano ti riporti a casa e un abbraccio ti schiacci ogni certezza. Per questo è importante non essere né troppo bruschi ne tantomeno superficiali nel farlo, perché abbracciare è un’ arte davvero. Niente come la delicatezza ci ricorda che esistiamo. E succede che delle dita strette alle nostre, anche solo per un momento, ci strappino dal buio. Sante sono le mani di chi si fa nido il momento dopo che senza speranza si spera ancora. Le mani di chiunque le stringa a chi è in lotta, sono mani che sanno mantenere: e mantenersi allegri e vitali è spesso una conseguenza di chi crede che il buio non sia tale.

Non esiste buio che non possa essere sconfitto, se preso per mano. Soprattutto quando si ha paura. Quante volte capita che alla domanda del «cosa c’è che non va?» non si sa bene cosa rispondere. Perché come fai a spiegare che a volte è difficile anche pensare di meritare di innamorarsi, di lasciarsi andare, di lasciarsi aiutare, perché si sa di avere le ossa di vetro e anche un saltello oltre l’ostacolo è un sogno.

È davvero difficile ammettere di non farcela più, che tutto è troppo, ma è proprio in quel momento, che il contatto fa la differenza. Perché non esiste «lasciarsi andare», non metterci tutta la forza del mondo per evitare di negare e annegare. Perché è qui che anche il mare si arresta. Nella tenerezza di chi, con voce fioca fioca, dice «sì, voglio essere apprezzato, voglio essere capito, voglio sentirmi protetto».

Perché c’è tantissimo da scoprire in chi incespica, in chi non ha sempre le risposte per tutto, in chi si sente ridicolo, e allora mangia tanta cioccolata, in chi si sente escluso, perché pare ci sia tutto per tutti, ma mai per lui, in chi crede che i fiori siano ballerine bellissime in scena, in chi pensa che siamo tutti parte di un tutto e sia possibile una vita senza bugie o rapporti di forza. C’è la forza di un oceano che può fermare l’onda e dirsi che è tanto bello andare da soli al mare, ma è ancora meglio se qualcuno ti accompagna al primo bagno, dopo l’inverno.

Ogni inverno così come ogni inferno, finisce se noi e chi ci sta vicino crede in quello che io chiamo lo scintillare emotivo. Che non è il piacere glitterato di chi sta sempre al centro della scena, ma è la scelta di chi decide di essere gentile comunque. Gentile al di là del fatto se sia o meno ricambiato dagli altri. Perché per quanto la cattiveria degli altri faccia schifo o orrore -e tutti gli altri aggettivi poco carini del vocabolario- la svolta arriva quando è la nostra a farci davvero sacro terrore. Perché la cattiveria degli altri non possiamo cambiarla, ma il nostro atteggiamento sì, ed è strano perdonare gli altri, ma di sé stessi essere boia, giudice e giuria. Basta pensare di non essere abbastanza, basta pensare che non vince chi resta, basta pensare che il calore non possa essere solo quello che regala la pioggia ad un cuore in grado di ascoltarla.

Questa scintilla che cura, -la scelta della bontà in ogni caso- io metaforicamente la associo alla pioggia. Alla pioggia che mi ha insegnato tanto. Una pioggia che negli anni è stata continua, straripante, ma che solo negli ultimi anni mi ha fatto capire quanto possa entrarti nell’anima e nel corpo. Non mi vergogno di dire che per troppo tempo ho vissuto da sepolta viva in un corpo che pensava che la libertà fosse come un giro di giostra troppo caro. Ma persino in quei momenti, pensando alla morte, desideravo la vita. Sono stata seppellita dentro bare emotive più forti del ferro, ma… resistevo. Ascoltavo il mio respiro e pensavo di avere un cuore simile ad un arto fantasma, io lo sentivo e gli altri no? Ho imparato dalla pioggia a sopravvivere alla barbarie di una vita che non sembrava tale, tanto era in pezzi. Ho imparato ad andare oltre a me stessa dolorante -per qualcosa di così dolorosamente fuori portata- e al ricordo di chi è morto e adesso è in pace. So che ce la si può fare, a non morire per un avvelenamento constante di un vivere troppo complicato, così come so che a volte è proprio strano quanto il sapore delle lacrime sia sacro.

Ed avere qualcuno che le coglie e le raccoglie, sciogliendole piano, secondo i nostri bisogni, sia raro. Perché ci sono persone che non restano per sempre, d’accordo, ma ci sono persone simili alle preghiere per un ateo, con l’incostanza sacrale di una chiesa -perché nella richiesta di chi non è abituato a chiedere, c’è la sorpresa di un sorriso nuovo, e chi chiede troppo non sempre è coerente nell’agire- e la grande consapevolezza di catturare la luce come il rosone in una cattedrale, che dà le spalle a tramonti in ritardo. E’ raro trovare qualcuno che non pensa che tutti i buoni non debbano essere per forza sempre tali, che a volte non si vuole essere cattivi ma, apriti cielo, non sempre si accende la luce su un passato senza eroi.

Gli antieroi non fanno notizia. Non fa notizia trovare la via in un buio cocente, fatto di dubbi, in quei momenti in cui Dio non sai nemmeno dove sia, ma lo ritrovi tra i punti invisibili di una ferita, perché sai di dovergli essere grata, ed allora diventa Uomo, diventa mano, diventa donna e diventa animo, non dissimile al tuo, e il tuo contatto col Divino, è carne e sangue, che pompa e diventa umano. Cammina, dondolando come me, e non ha confini, non ha nessun tipo di barriera, ha semplicemente la bellezza di un incontro.

Perché ci sono incontri che sono buffi scontri con la consapevolezza di essere umani, che ti danno la misura precisa di quanto sia giusto quello che stai facendo, come il ridere di sé quando sei in presala operatoria, o il sentire che chi è vicino a te e ti sta curando, ti sta accanto, perché sa quanto tu ne abbia bisogno. Sono buffi incontri in cui l’anima si sforza senza in realtà sentire la fatica, in cui il dolore ha il dovere di farci scoprire qualcosa di più. In cui siamo come il pastorello, che nell’iconografia del presepe napoletano è detto «guardastelle», colui che umilmente guarda il cielo, non perché ha qualcosa da chiedere, ma perché sente di avere qualcosa da dare: la sapienza di capire di non doversi sacrificare, ma di vivere, anche quando la felicità ha il volto severo.

Per questo mi sento di dire che la cosa giusta per noi- non sia «nell’apostrofo rosa contenuto tra le parole t’amo» come diceva qualcuno, ma nei tanti «nonostante»: nonostante gli imbecilli che lo credono impossibile piacere nella malattia, nonostante chi creda che a metà sia impossibile donarsi, nonostante chi non vede l’eleganza che è nascosta dentro un gesto quando siamo davvero sfiniti. Stanchi.

Perché mi sento di poter gridare al mondo una verità: che è ben lontana dal bastare un eclissi completa, per togliere di mezzo la luna, perché lei è coraggiosa. Come chi si confessa in silenzio, come chi canta e vive per gli ultimi.

E chi lo fa ha il coraggio delle cose che lasciano traccia, anche se non pare, dopotutto le corde vibrano e creano musica, il volo di una farfalla crea terremoti per il vento, le nuvole hanno la consistenza di un gelato alla crema, l’eco genera voci nell’aria, tutto ha un senso, persino quando ci chiediamo se il gioco vale la candela, persino quando specchiarsi nella luna sembra soltanto un atto profano: tempi duri per i romantici che credono che il dolore di fronte a un sentimento vero nobiliti il campo. Un campo dove non esiste bandiera, dove esistono solo le collanine messe a posto da chi le ha rotte – a volte a pagare il conto sono le ombre- perché ogni dubbio può essere un gioiello da portare con orgoglio, al di là di chi fa del giudicare passivo il suo marchio di fabbrica, ma il mondo è troppo spesso come una vecchia comare.

E alla fine credo davvero bastino lacrime d’amore per inondare il deserto e trasformarlo nel proprio pezzo di paradiso. Perché che si abbia o no paura, bisogna imparare dalla natura, i rovi, tengono i frutti migliori delle more, dove nessuno può arrivare e dove il ricordo, trova la strada per tornare.

Perché a volte le persone e la vita ci sfiorano, per farci capire che ci invitano. E noi dobbiamo solo rispondere.

 

Chiesa cattolica svizzera

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