«Il Concilio e due encicliche ammettono casi di eucaristia ai protestantiˮ

È un tema spinoso, che si discute da anni, affrontato sin dai tempi del Concilio Ecumenico Vaticano II. Il recente documento della Conferenza episcopale tedesca che apriva in modo sistematico alla possibilità per il coniuge protestante di accedere all’eucaristia partecipando alla messa con lo sposo o la sposa cattolici (previo colloquio con un sacerdote e previa adesione a ciò che la Chiesa cattolica crede a proposito del sacramento), approvato a maggioranza, ha provocato una lettera di sette vescovi che si sono appellati a Roma. Si è svolta una riunione presso la Congregazione per la dottrina della fede, presieduta dal Prefetto, l’arcivescovo Luis Ladaria Ferrer e alla fine Francesco ha rimandato la questione alla Conferenza episcopale tedesca, chiedendo di arrivare a una formulazione che sia possibilmente unanime. Una decisione, quella di Francesco, che ha provocato repliche indignate, non soltanto da parte dei soliti clerical-blogger che si ergono a maestri di teologia e sottopongono tutti ai loro esami di dottrina prima ancora di conoscere le decisioni che saranno prese. Reazioni a dir poco eclatanti si sono infatti registrate anche da parte di eminenti ecclesiastici, come il cardinale arcivescovo di Utrecht, Willem Jacobus Eijk, il quale è arrivato ad evocare visioni apocalittiche di apostasia dalla vera fede. Mentre infuria la polemica, Vatican Insider ha rivolto alcune domande al teologo tedesco Walter Kasper, nominato vescovo di Stoccarda quindi chiamato a Roma alla guida del dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani e infine creato cardinale da san Giovanni Paolo II.

 

Eminenza, parliamo dell’intercomunione, un problema rimbalzato agli onori della cronaca ecclesiale dopo l’approvazione del documento dei vescovi tedeschi, la lettera di sette di loro che si appellavano a Roma e la decisione del Papa di rimandare la discussione in sede di Conferenza episcopale…

«Vorrei fare innanzitutto una premessa. L’intercomunione è un tema e un concetto discusso da molti anni e in ambiti ecumenici molto diversi, non solo tedeschi. È un tema non solo esplosivo ma anche sbagliato nella sua formulazione. Teologicamente si tratta della comunione o ammissione alla comunione, che sempre è comunione eucaristica e al contempo comunione ecclesiale. Il termine «inter» suggerisce un stato fra diverse comunioni ecclesiali, che in modo di dialogo, cooperazione, amicizia è possibile, anzi desiderabile. Ma non ci possono essere sacramenti «inter»: i sacramenti sono sempre sacramenti di una Chiesa, oppure in una Chiesa. Il termine intercomunione è dunque fuorviante e da evitare. Il documento (maggioritario) della Conferenza episcopale tedesca non parla di intercomunione, come invece sottolineano alcuni dei suoi avversari».

 

Accantoniamo dunque il termine fuorviante di «intercomunioneˮ e parliamo della possibilità che in alcuni casi i coniugi protestanti possano fare la comunione partecipando alla messa dello sposo o della sposa cattolici. Quali sono i documenti del magistero alla luce dei quali affrontare questo tema?

«Il testo fondamentale per risolvere il problema non è il canone 844 § 3 del Codice di Diritto canonico, che è un testo giuridico, e molto discusso anche fra i canonisti, ma l’ultimo paragrafo del numero 8 del decreto conciliare «Unitatis redintegratio», che è un testo magistrale, che va ripreso e confermato. Il testo del Concilio fa tre affermazioni. La prima: «non è permesso considerare la communicatio in sacris come un mezzo da usarsi indiscriminatamente per il ristabilimento dell’unità dei cristianiˮ. La seconda: «Questa communicatio è regolata soprattutto da due principi: esprimere l’unità della Chiesa; far partecipare ai mezzi della graziaˮ. La terza: «Circa il modo concreto di agire, avuto riguardo a tutte le circostanze di tempo, di luogo, di persone, decida prudentemente l’autorità episcopale del luogoˮ.

 

Dunque esiste una competenza dei vescovi locali nell’affronto dei casi particolari, stabilita già dal Concilio Ecumenico Vaticano II…

«Sì, c’è una competenza dell’autorità locale per il cosiddetto «Einzelfall» (caso particolare). Però la teoria del «Einzelfall» non è una furba invenzione, ma è fondata in un testo conciliare, che ultimamente risale a una teoria tomista secondo cui le regole generali valgono «ut in pluribus» e sono da applicare secondo la virtù cardinale della prudenza ispirata dalla carità. Ovviamente tale applicazione non si fa arbitrariamente, ma va retta dal principio supremo della salus animarum, la salvezza delle anime (CIC can. 1752). Purtroppo nella discussione controversa questo secondo principio viene spesso abbandonato e la discussione si focalizza unilateralmente sul primo principio, quello dell’unità della Chiesa. Questo secondo principio non va ridotto a un argomento pastorale (in un senso spesso superficiale) ma è fondato nella stessa teologia sacramentale e pertanto non c’è il problema di una contrapposizione fra dottrina e pastorale, ma di un appianamento fra due principi dottrinali».

 

Che cosa pensa della bozza di documento pastorale della Conferenza episcopale tedesca che apriva alla possibilità, a certe condizioni, dell’accesso all’eucaristia per il coniuge protestante?

«Il testo è serio ed è in sostanza accettabile, anche se su qualche dettaglio avrei delle esitazioni, soprattutto sull’esegesi del canone 844 § 3, molto discusso dai canonisti e teologicamente non più all’altezza della discussione teologico–ecumenica. Nel frattempo due encicliche di Giovanni-Paolo II, «Ut unum sint» (1995) e «Ecclesia de Eucharistiaˮ (2003) hanno formulato una posizione più avanzata che può essere la norma interpretativa del canone in piena sintonia con il Concilio Vaticano II. Nella prima delle due encicliche di Papa Wojtyla al numero 24 leggiamo: «È motivo di gioia ricordare che i ministri cattolici possano, in determinati casi particolari, amministrare i sacramenti dell’Eucaristia, della Penitenza, dell’Unzione degli infermi ad altri cristiani che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica, ma che desiderano ardentemente riceverli, li domandano liberamente, e manifestano la fede che la Chiesa cattolica confessa in questi Sacramentiˮ. Mentre nella seconda enciclica dello stesso Pontefice, al numero 45, leggiamo: «Se in nessun caso è legittima la concelebrazione in mancanza della piena comunione, non accade lo stesso rispetto all’amministrazione dell’Eucaristia, in circostanze speciali, a singole persone appartenenti a Chiese o Comunità ecclesiali non in piena comunione con la Chiesa cattolica. In questo caso, infatti, l’obiettivo è di provvedere a un grave bisogno spirituale per l’eterna salvezza di singoli fedeliˮ».

 

Qual è il significato di queste due affermazioni di Giovanni Paolo II?

«Le due encicliche insistono molto sull’adesione della parte protestante alla dottrina cattolica sull’eucaristia, cioè sul manifestare «la fede che la Chiesa cattolica confessaˮ, per citare lo stesso Giovanni Paolo II. Questo mi sembra molto importante, perché i sacramenti sono sacramenti della fede. Per un vero luterano, che si basa sugli scritti confessionali, la presenza reale di Cristo nell’eucaristia è ovvia. Il problema sono i protestanti liberali e i riformati (calvinisti). Soprattutto con loro il problema va chiarito nei colloqui pastorali. Certo non si può richiedere da un protestante quanto si richiede normalmente da un cattolico. Basta credere: «Questo è (est) il corpo di Cristo, dato per te». Su questo anche Lutero ha molto insistito. Le dottrine più sviluppate sulla transustanziazione o consustanziazione, anche un fedele cattolico «normale» non le conosce…».

 

Si tratta di un tema discusso da molti anni, specialmente e soprattutto nella Chiesa della Germania. Può ricordare come e quando si è incominciato a parlarne e come l’episcopato tedesco lo ha affrontato?

«È un tema dell’ecumenismo internazionale e non solo tedesco. In questo contesto non è possibile ripercorrerne tutta la storia. Vorrei solo dire che in Germania abbiamo una situazione particolare, che è molto diversa da Paesi nella loro maggioranza tradizionalmente cattolici come l’Italia, la Polonia ecc… In Germania attualmente fedeli cattolici e protestanti sono metà – metà. I matrimoni bi-confessionali sono il 40 per cento, dunque una percentuale molto alta. D’altra parte, molte di queste persone sono indifferenti, mentre la parte interessata è un numero molto ridotto: solo di loro si parla in questo contesto. Se queste persone, in un contesto abbastanza secolarizzato, sono dei veri fedeli che credono e sono uniti nello stesso battesimo e pertanto fanno parte dell’unica Chiesa di Cristo (anche se non in piena comunione), e inoltre sono legati nello stesso sacramento del matrimonio e rappresentano il mistero dell’unione fra Cristo e la sua Chiesa e lo vivono, sono insieme con i loro figli una chiesa domestica. È normale che sentano l’intimo desiderio condividere anche l’eucaristia. Se condividono anche la fede eucaristica cattolica, che cosa impedisce…? (cfr. Atti degli Apostoli 7, 37; 10,47)».

 

Che cosa pensa della lettera dei sette vescovi contrari al documento della Conferenza episcopale, che si sono appellati a Roma?

«Non sono il maestro di scuola degli altri fratelli vescovi, ma penso che i loro problemi possano essere risolti nella luce di quanto ho affermato sopra».

 

C’è stato l’incontro alla Congregazione per la dottrina della fede e si è concluso con la decisione del Papa di rimandare nuovamente la discussione all’episcopato perché sia trovata una posizione possibilmente unanime. Questo gesto di Francesco è stato duramente criticato da quanti speravano in un’immediata risposta negativa d’autorità. Che cosa può dire?

«Penso che il Papa abbia dato una risposta molto saggia. Lui è rimasto in piena sintonia con l’idea della sinodalità della Chiesa. Però ha anche segnalato che sulle questioni fondamentali non basta una maggioranza dal punto di vista canonico legale, ci vuole l’unanimità. La dichiarazione alla stampa ha reso evidente che ci sono ragioni dalle due parti che possono servire per migliorare il testo. Nessuna parte ha perso la faccia. Secondo me, c’è spazio per una continuazione della discussione e per una riconciliazione che non sarebbe un compromesso non serio. La cosa più importante a mio avviso sarà approfondire il problema pastorale».

 

A che cosa si riferisce quando parla di «problema pastorale»?

«Penso all’ammonizione dell’apostolo Paolo, esaminare sé stessi per verificare se si possa mangiare e bere dall’altare (1 Cor 11,26): un’indicazione che non è solo per i protestanti ma anche per i cattolici. Le domande iniziali sono le stesse: credo veramente al mistero eucaristico e la mia condotta di vita è in sintonia con ciò che si celebra e che è presente nell’eucaristia? Lacune e problemi di fede e di comportamento morale si trovano non solo nei protestanti ma spesso nei cattolici che oggigiorno vanno regolarmente a ricevere alla santa comunione. D’altra parte conosco molti buoni luterani che hanno una fede e una vita cristiana superiore a quella di molti cattolici».

 

Negli anni del suo episcopato a Stoccarda, come ha affrontato questo particolare problema?

«Da vescovo di una diocesi in una regione la cui popolazione è cattolica per un terzo, per un terzo protestante e per il rimanente indifferente, non ho mai fatto una dichiarazione ufficiale. Ma ho saputo (come lo sanno tutti gli altri vescovi, anche quelli che adesso sono contrari al documento della maggioranza della Conferenza episcopale), che nella prassi quotidiana delle parrocchie si è sviluppato o almeno si sta sviluppando la prassi secondo la quale in un matrimonio bi-confessionale, i partner protestanti che sono veramente interessati, partecipano alla comunione. Quando mi è stato chiesto dai sacerdoti o da singoli protestanti, normalmente ho risposto così: se un protestante partecipa la celebrazione eucaristica, ascolta ciò che diciamo nella preghiera eucaristica. Bisogna domandarsi: può alla fine dalla dossologia veramente rispondere con tutta l’assemblea: «Amen, sì credo.» Normalmente aggiungevo: sentirà anche che nominiamo il nome del Papa e del vescovo, il che vuole dire che celebriamo in comunione con lui. Bisogna che si domandi: «Voglio veramente questa comunione?ˮ. Ma di nuovo: ho incontrato molti protestanti che hanno più stima e spesso anche più amore per i Papi attuali di quanta ne hanno alcuni cattolici critici e scettici. I problemi più teologici (e per la teologia, importanti) della giurisdizione universale, e della pienezza della giurisdizione ecc. non sono i problemi dei laici normali e l’accusa che il Papa sia l’anticristo i protestanti, che vivono in una amicizia ecumenica, la lasciano oggi volentieri ai laicisti e ai massoni. Per concludere: quando si scende nel campo della vita concreta e nella pastorale concreta le situazioni sono molto differenziate. Ogni situazione è un «Einzelfall», perché ogni uomo è unico. Certo valgono sempre i principi teologici, ma la loro applicazione concreta non si fa in un modo solo deduttivo e meccanico. Se lo facessimo, sarebbe l’eresia della gnosi, che giustamente viene denunciata dal Papa attuale».

Andrea Tornielli – VaticanInsider

Chiesa cattolica svizzera

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