Ermanno Olmi, il ricordo di Ravasi: «Nei suoi film l’inquietudine della fede»

«Il tema della ricerca, la fede considerata come inquietudine, e quello dell’incarnazione del cristianesimo, visto come religione dei poveri, degli ultimi». Sono questi, secondo il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, i due tratti più evidenti della cinematografia di Ermanno Olmi, il regista, sceneggiatore e scrittore bergamasco, morto oggi ad Asiago all’età di 86 anni.

 

Secondo Ravasi – che di Olmi è stato ammiratore fin dalle prime opere e poi amico – è proprio in uno dei suoi film meno riusciti, «Camminacammina», dedicato ai Magi, che il regista italiano «ha espresso esplicitamente la cifra della sua poetica: la ricerca, il pellegrinaggio nell’assoluto». «L’altro volto – dice il porporato a Vatican News – era quello di un cristianesimo incarnato, e quindi degli ultimi. Un cristianesimo scandito in particolare dalla sofferenza, dalla povertà e da un’aspirazione che sale dalla terra verso il Cielo».

 

«Una delle sintesi migliori del cinema di Olmi l’ha formulata un altro amico comune, Sergio Zavoli, quando affermava che ogni giorno la Fede e l’amore vanno conquistati con una lotta con il dubbio e quindi la vittoria sul dubbio è la sola affermazione del credere ». «L’inquietudine della Fede era così presente nel suo cinema – prosegue Ravasi – che definirei il suo cristianesimo come «francese», perché incarnava le grandi domande degli autori del ’900 francese».

 

«A dispetto del modo sereno e positivo con cui Ermanno Olmi si rapportava agli altri, ai suoi amici, il suo era un cinema dalla spiritualità tormentata», aggiunge il cardinale. «Era la rappresentazione della dolcezza e della tenerezza, ma il suo cinema era provocatorio – basti pensare a «Centochiodi» o al «Villaggio di cartone « – e anche critico nei confronti di un cattolicesimo che non rifletteva completamente ai suoi occhi il «costo» della redenzione, il `costo´ della Fede, una Fede che bisogna tirare fuori dall’anima e dalla carne».

 

«Quello di Olmi – conclude Ravasi – era soprattutto il cristianesimo della crocifissione. Naturalmente nel suo cinema c’è sempre l’alone della Pasqua, perché era un grande credente. Però, per lui, «il consenso senza sofferenza dato a Dio è un modo per non rispondergli». E in questa affermazione, che era di un altro nostro comune amico, Carlo Bo, c’è la rappresentazione più vera della Fede di Olmi: Cristo, Dio più in generale, lo troviamo nella sofferenza, nel limite, nella caducità. La strada più difficile – il luogo dove paradossalmente si possono celebrare le apostasie – e quindi il dolore, le ingiustizie del mondo, erano invece, agli occhi di Ermanno Olmi, il luogo epifanico per eccellenza».

 

È per questo che, secondo il presidente del Dicastero per la cultura, i film di Ermanno Olmi «potevano sembrare provocatori nei confronti della teologia. Gesù Cristo incarnato – che è storia e mistero, umanità e trascendenza – è per eccellenza il volto ultimo in cui si è specchiato Olmi e che ora penso, come credente, potrà finalmente contemplare».

VaticanInsider

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