Aldo Moro, coraggio e verità

«Quando si dice la verità non bisogna dolersi di averla detta. La verità è sempre illuminante. Ci aiuta ad essere coraggiosi». Sono parole di Aldo Moro, politico e statista italiano, barbaramente ucciso dalle Brigate rosse il 9 maggio 1978. Parole che scuotono, cinquant’anni più tardi, una società e una Chiesa sempre in cammino. Quello di Moro è un cammino che continua ad interpellarci ed a scuotere le nostre vite forse troppo tranquille… La sua gioventù assomiglia a quella di tanti altri giovani, ieri come oggi. Nato a Maglie, in provincia di Lecce, nel 1916, si laurea in legge. Milita nella Fuci. All’età di 29 anni si sposa, con Eleonora Chiavarelli. Quattro i figli che Dio dona loro. Ma nel frattempo questo giovane è sensibile al richiamo della vita politica attiva. Mostra, in un primo tempo, una certa attrazione per la «destra» socialista. Successivamente la sua fede lo porta ad approdare nel costituendo movimento democristiano, fondato da Alcide De Gasperi.

Politico, accademico e giurista, Aldo Moro insegna alle Università di Roma e Bari, per cinque volte è presidente del Consiglio dei ministri. Dopo la seconda guerra mondiale, nel 1946 viene eletto deputato all’Assemblea Costituente, entrando così a far parte della Commissione che si occupa di redigere il nuovo testo costituzionale italiano. Nel 1953 assume l’incarico di segretario del partito della Democrazia Cristiana, nello specifico, durante una crisi che minaccia di dividere il partito, del quale sarà presidente. Dal 1957 è ministro della pubblica istruzione, quando introduce – come importante conquista – lo studio della civica nelle scuole. Viene invitato a formare il suo governo nel 1963.

Un tempo, un percorso sorprendente. Ma Aldo Moro ama ripetere: «Si tratta di vivere il tempo che ci è stato dato con le sue difficoltà». E le difficoltà non mancano di certo nella sua vita. Ma la fede lo sostiene e lo incoraggia a lavorare per la verità, sempre. Non si risparmia nel recupero delle classi popolari dal fascismo, che intende «traghettare» verso il sistema democratico. Cattolico osservante, coltiva però una visione laica della politica, sulle orme di don Luigi Sturzo. In questa sua missione, Moro si ritrova nell’ingrata situazione di dover «armonizzare» realtà apparentemente inconciliabili tra loro. Ed è così che, ad inizio 1978, si trova fra i politici che ritengono percorribile la strada per un governo che includa nella maggioranza anche il partito comunista. Suo malgrado è catapultato al centro di una bufera di critiche. Il 16 marzo 1978, giorno della presentazione del nuovo governo guidato da Giulio Andreotti, la Fiat 130 che trasporta Moro dalla sua abitazione di Roma alla Camera dei deputati, viene intercettata da un commando delle brigate rosse. In pochi secondi i terroristi uccidono gli uomini della scorta e sequestrano il presidente della DC. Dopo una prigionia di cinquantacinque giorni, il cadavere di Aldo Moro viene ritrovato nel baule di un’auto.

Sgomento provano i suoi tanti amici. Papa Paolo VI è tra loro. «Dio della vita e della morte, tu, non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro, di questo uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico…», esclama durante i funerali. Ed il pensiero corre a Cristo, crocifisso, che grida: « Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato…». Ma Paolo VI continua, invitando al perdono: «Ma tu, o Signore, non hai abbandonato il suo spirito immortale, segnato dalla Fede…». Un altro richiamo a Gesù, sulla croce: «Padre, nelle tue mani affido il mio spirito». Il rito della memoria ci aiuta, oggi, a non dimenticare Aldo Moro ed il suo coraggio per la verità, che lo porta a riconoscere: «Non basta parlare per avere la coscienza a posto: noi abbiamo un limite, noi siamo dei politici e la cosa più appropriata e garantita che noi possiamo fare è di lasciare libero corso alla giustizia».

Chiesa cattolica svizzera

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