«Cristiani affamati non affermati, andiamo nei tabernacoli scomodi»

«Alzati!». Perché «la prima cosa da evitare è rimanere a terra, subire la vita, restare attanagliati dalla paura». Alla popolazione di Molfetta che lo attende dall’alba sotto il palco, sul porto, dai balconi e dalle finestre, dispiegata lungo tutta la città e i vicoli in pietra, Francesco ricorda l’invito del suo storico vescovo Tonino: «In piedi!». Ed esorta a «rialzarsi sempre, guardare in alto, perché l’apostolo di Gesù non può vivacchiare di piccole soddisfazioni».

 

Papa Francesco arriva in elicottero nell’antico borgo salentino, seconda e ultima tappa della sua visita pastorale nei luoghi di don Bello, con quasi un’ora di ritardo. Subito si dirige in sagrestia: il giro in papamobile tra i fedeli, oltre 40mila secondo le autorità locali, viene rimandato a dopo la messa che il Pontefice celebra – stringendo il bastone pastorale in legno di don Tonino Bello – su un palco bianco e giallo allestito davanti all’Adriatico, arricchito da un crocifisso stilizzato, un albero d’ulivo, simbolo di pace e delle terre pugliesi, e la statua della Madonna dei Martiri, patrona della città.

 

 

La sua omelia si snoda a partire da due parole: «pane» e «parola»Le riflessioni del Pontefice si intrecciano a frasi pronunciate e scritte da don Tonino, e risulta difficile distinguere quale affermazione appartenga ad uno e quale all’altro. «Non bastano le opere di carità, se manca la carità delle opere. Se manca l’amore da cui partono le opere, se manca la sorgente, se manca il punto di partenza che è l’Eucaristia, ogni impegno pastorale risulta solo una girandola di cose», diceva monsignor Bello.

 

Un monito che Bergoglio rilancia ribadendo che: «La vita cristiana riparte ogni volta da qui, da questa mensa, dove Dio ci sazia d’amore. Senza di Lui, Pane di vita, ogni sforzo nella Chiesa è vano». «L’Eucaristia è questo: non un bel rito, ma la comunione più intima, più concreta, più sorprendente che si possa immaginare con Dio: una comunione d’amore tanto reale che prende la forma del mangiare», rimarca il Vescovo di Roma. «Chi si nutre dell’Eucaristia assimila la stessa mentalità del Signore. Egli è Pane spezzato per noi e chi lo riceve diventa a sua volta pane spezzato, che non lievita d’orgoglio, ma si dona agli altrismette di vivere per sé, per il proprio successo, per avere qualcosa o per diventare qualcuno, ma vive per Gesù e come Gesù, cioè per gli altriVivere per è il contrassegno di chi mangia questo Pane, il «marchio di fabbrica» del cristiano. Sarebbe bello – aggiunge a braccio – se in questa diocesi di don Tonino ci fosse questo avviso e fosse letto da tutti».

 

Anche don Tonino ne sarebbe contento. Lui che è stato «un Vescovo-servo, un Pastore fattosi popolo, che davanti al Tabernacolo imparava a farsi mangiare dalla gente». Lui «sognava una Chiesa affamata di Gesù e intollerante ad ogni mondanità, una Chiesa che sa scorgere il corpo di Cristo nei tabernacoli scomodi della miseria, della sofferenza, della solitudine». Perché, diceva, «l’Eucarestia non sopporta la sedentarietà» e «senza alzarsi da tavola resta un sacramento incompiuto».

 

 

Questo «Pane di vita» è anche «Pane di pace», aggiunge il Papa. La pace che, secondo don Bello, «non viene quando uno si prende solo il suo pane e va a mangiarselo per conto suo. La pace è qualche cosa di più: è convivialità». È «mangiare il pane insieme con gli altri, senza separarsi, mettersi a tavola tra persone diverse», dove «l’altro è un volto da scoprire, da contemplare, da accarezzare». Perché «i conflitti e tutte le guerre trovano la loro radice nella dissolvenza dei volti». E i cristiani e chiunque condivide «questo Pane di unità e di pace», è chiamato «ad amare ogni volto, a ricucire ogni strappo; ad essere, sempre e dovunque, costruttori di pace».

 

Insieme col Pane, la Parola. Bergoglio riporta le «aspre discussioni» attorno alle parole di Gesù: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». «C’è un’aria di disfattismo in queste parole», osserva il Pontefice. «Tante nostre parole assomigliano a queste: come può il Vangelo risolvere i problemi del mondo? A che serve fare del bene in mezzo a tanto male? Così cadiamo nell’errore di quella gente, paralizzata dal discutere sulle parole di Gesù, anziché pronta ad accogliere il cambiamento di vita chiesto da Lui».

 

Per questo Tonino Bello augurava di «accogliere questa novità di vita, passando finalmente dalle parole ai fatti». Era continuo il suo invito a chi «non aveva il coraggio di cambiare»: «Gli specialisti della perplessità», li definiva, «i contabili pedanti dei pro e dei contro. I calcolatori guardinghi fino allo spasimo prima di muoversi».

 

«A Gesù non si risponde secondo i calcoli e le convenienze del momento, ma col «sì» di tutta la vita. Egli non cerca le nostre riflessioni, ma la nostra conversione», afferma Papa Francesco. E questa conversione si sintetizza in quell’«alzati!» proclamato da don Tonino Bello. «La vita cristiana va investita per Gesù e spesa per gli altri. Dopo aver incontrato il Risorto non si può attendere, non si può rimandare; bisogna andare, uscire, nonostante tutti i problemi e le incertezze».

 

Essere, in sostanza, «costruttori di pace», come chiedeva il vescovo. Il Papa incalza: «Servitori del mondo, ma da risorti, non da impiegati. Senza mai contristarci, senza mai rassegnarci. È bello essere «corrieri di speranza», distributori semplici e gioiosi dell’alleluia pasquale». La Parola di Dio fa questo: «Libera, rialza, fa andare avanti, umili e coraggiosi al tempo stesso. Non fa di noi dei protagonisti affermati e campioni della propria bravura, ma – conclude il Papa – dei testimoni genuini di Gesù nel mondo».

Salvatore Cernuzio – VaticanInsider

Chiesa cattolica svizzera

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