Pakistan, la strage di cristiani a Quetta interpella la politica

Non c’è pace per i cristiani in Pakistan. L’ultimo attentato a Quetta, avvenuto il lunedì dopo la Pasqua, nella travagliata provincia del Beluchistan ha lasciato 4 morti e una ragazza ferita, in quello che la polizia ha definito «un attacco mirato». La città aveva sofferto di un altro attentato poco prima del Natale 2017, quando due terroristi suicidi, facendosi esplodere, hanno fatto strage dei fedeli che affollavano la chiesa metodista di Bethel Church, con un bilancio di 14 morti e 56 feriti. Questa volta i fautori di cieca violenza hanno scelto un obiettivo perfino più facile: entrare nel quartiere cristiano di Shah Zaman per colpire una famiglia di innocenti, scelta casualmente.

 

Due uomini armati in motocicletta hanno aperto il fuoco sui membri di una famiglia cristiana seduta su un risciò, il tipico mezzo di trasporto popolare. Quattro adulti, Pervaiz Masih, Tariq Masih, Imran Masih e Firdous Bibi sono morti, mentre è in ospedale in condizioni critiche la figlia di Pervaiz Masih. E pensare che quest’ultimo era l’unico residente a Quetta, dove è stato sepolto dopo la messa funebre. Gli altri erano giunti in Beluchistan dal Punjab, da un villaggio nei pressi di Lahore, in visita ai parenti per trascorrere le festività pasquali. I fedeli sono scioccati: ben poco è durata la gioia della Pasqua e magra è stata la soddisfazione perchè le chiese, protette da ingenti misure di sicurezza nella Domenica della Risurrezione, erano rimaste indenni.

 

Il cristiano Khalil George, parlamentare di Quetta e membro dell’Assemblea nazionale, parla con amarezza a Vatican Insider dell’accaduto: «È un attacco vigliacco contro innocenti. È stato rivolto specificamente contro i cristiani. È un attacco mirato e gratuito che ci fa molto soffrire. La Pasqua a Quetta è trascorsa tra imponenti misure di sicurezza, con agenti di polizia e militari stanziati in strada e davanti alle chiese. Ma i terroristi hanno trovato un’altra strada per rinnovare il loro messaggio di violenza e morte. Siamo scioccati e amareggiati».

 

Il caso, secondo George, richiama le responsabilità della politica: «Come politici, di qualsiasi religione o partito, siamo tutti chiamati a fare di più, a prendere coscienza di questa emergenza e a garantire protezione alle minoranze cristiane, perchè tutti possano vivere da cittadini del Pakistan, con uguale dignità e benessere». Quetta, spiega il leader, è oggi una zona critica perchè gruppi terroristi hanno riversato lì la loro attenzione e stabilito le loro basi: «L’azione delle autorità è essenziale. C’è grande dolore e costernazione nella comunità. Questa strage non deve restare impunita». Parole, queste, che risuonano sui banchi del Parlamento e sui mass-media, proprio mentre il paese si prepara alle elezioni generali, previste nel prossimo luglio.

 

Quel che serve, però, non è solo un intervento contingente, bensì un cambio di mentalità. Secondo i vescovi cattolici del Pakistan, in questi giorni riuniti in assemblea a Karachi, la questione fondamentale è di carattere culturale: «I cristiani in Pakistan hanno contribuito a costruire il paese e ancora oggi danno un prezioso apporto al bene comune, con lo spirito evangelico: questa è la nostra missione. E questo nostro ruolo, in un paese a maggioranza islamica, deve essere riconosciuto nella società e dallo stato», spiega in un colloquio con Vatican Insider l’arcivescovo Joseph Coutts, che guida la comunità di Karachi. «Anche se siamo l’1% della popolazione, il nostro lavoro vale molto più del 1%: abbiamo oltre 600 scuole cattoliche, grandi e piccole, molti ospedali e strutture di accoglienza per disabili e lebbrosi. Con queste opere siamo a servizio di tutti, senza alcuna distinzione di religione o classe sociale, sull’esempio evangelico del Buon Samaritano, che non ha chiesto quale religione professava il ferito che ha soccorso. Lavoriamo ogni giorno per l’armonia sociale e la comprensione reciproca, nonostante le sfide che affrontiamo ogni giorno e le sofferenze che viviamo».

 

Anche l’arcivescovo di Lahore, Sebatian Shaw, incoraggia i fedeli in questo tempo pasquale e dichiara: «Siamo chiamanti a vivere con fede, anche nel dolore. Sappiamo che il Signore è con noi e non ci abbandona. Oggi ripetiamo le parole di Gesù: «Non abbiate paura». E poi esortiamo i battezzati a non combattere, a non reagire con la violenza, che genera altra violenza. Beati sono gli operatori di pace. Conserviamo nel cuore la gioia della Risurrezione anche in questo momento di lutto e sofferenza. Siamo pakistani e, qualunque cosa accada, siamo qui, dove Dio ci ha voluto. Lavoriamo per il nostro paese: ci sentiamo pienamente cittadini. La nostra missione di cristiani pakistani è qui: è vivere e donare il Vangelo di Cristo qui e ora».

Paolo Affatato – VaticanInsider

Chiesa cattolica svizzera

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