La sfida ragionevole di un Pre sinodo per tutti

Le testimonianze che ho sentito in questi giorni da chi è rientrato dall’esperienza del Pre Sinodo che si è riunito dal 18 al 24 marzo 2018 a Roma, sono soprattutto positive. Gli oltre 300 ragazzi provenienti da tutto il mondo e le migliaia online che per una settimana hanno interagito con loro, ragazzi e ragazze che Francesco non ha voluto fossero solo cattolici, ma anche di altre confessioni cristiane, religioni e addirittura alcuni atei, rappresentano una possibilità ricca e entusiasmante per il futuro della fede e della presenza del Vangelo nel mondo, anche se Francesco ci chiede nuovamente di uscire dal nostro modo un po’ classico di pensare a questi eventi (pensiamo alle GmG) e abbracciare nuovi orizzonti. Con Francesco non esiste il quieto vivere, ma nell’orizzonte della sua Chiesa in uscita, dobbiamo tutti allenarci a dinamiche nuove. Il Sinodo, questo e il precedente, ma anche iniziative locali che seguono queste piste come i Sinodi diocesani che in alcune realtà ecclesiali sono partiti, percorrono la via del confronto-incontro tra i cattolici ma pure con l’altro, la città, le sue molte dimensioni, interrogandosi su sfide pastorali nuove. Questo modo di procedere è profondamente radicato nelle istanze del Concilio, se si riprende tra le mani la «Gaudium et spes», la Costituzione conciliare sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. La Chiesa ivi descritta utilizza un metodo induttivo per entrare in dialogo con gli umanesimi odierni: cerca di salire, insieme con l’uomo, dalla natura al creatore. La Chiesa si mette in dialogo con il mondo a partire dall’antropologia, dichiarando di voler abbracciare gli uomini e le donne del suo tempo, le loro condizioni e le loro storie. ll Papa nel Pre Sinodo non ha chiesto alla Chiesa di farsi latrice di una ricetta preconfezionata, ma piuttosto di scegliere la pista del dialogo con l’altro, a partire dalla realtà concreta che sono i giovani di oggi, la vita e le loro sfide umane e cristiane, di credenti e non credenti. Ma così non c’è il rischio che si perdano le verità di fede? Le verità, se sono davvero «verità», non si dovrebbero smarrire alla prova di un metodo induttivo nell’arena di un confronto dialogico aperto, ma semmai si dovrebbero rafforzare e ritrovarsi più genuine. La verità affascina se è comunicata «ragionevolmente» all’altro. Ma può esserci un incontro «ragionevole», senza il dialogo e il confronto con tutti i fattori della realtà? Sedersi attorno allo stesso tavolo e condividere la vita, è il metodo per dare ragione della speranza che è in noi, della fede. Non una ragione astratta, ma reale. Aristotele che passeggia nel Peripato è un’icona di questo metodo, per non parlare di Gesù che dialoga con gli scribi, i farisei, con chi non la pensa come lui. Francesco -tra tante cose- sta proponendo anche questo ai giovani e alla Chiesa: scendere alla radice delle ragioni della fede perché essa sia nuovamente e più adeguatamente comunicabile agli uomini e alle donne del nostro tempo. Il metodo è questo e non è nato con lui. Perché non provarci?

Chiesa cattolica svizzera

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