Testimonianza e non proselitismo

Dalla preghiera di pace con israeliani e palestinesi nei Giardini Vaticani al ruolo di mediazione nei fronti caldi in Medio Oriente e Africa, dall’impegno per il disarmo nucleare alla mobilitazione a sostegno dei migranti. La Santa Sede è tornata negli ultimi anni al centro dello scacchiere internazionale. Geopolitica e predicazione sono le due gambe sulle quali procede il pontificato di Francesco, per il quale l’attuazione del Concilio Vaticano II è il programma di governo e l’ostpolitik è la strategia di base della presenza della Santa Sede nei cinque continenti.

Una ostpolitik ovviamente attualizzata per adeguarla alle sfide odierne, in un mondo non più diviso in due blocchi come era durante la guerra fredda ma multilaterale, nel quale cioè hanno ritrovato rilievo le medie potenze regionali per decenni subordinate al bipolarismo Usa-Urss. La diplomazia della misericordia, promossa da Francesco e applicata in primo luogo dal segretario di Stato, Pietro Parolin, antepone la testimonianza al proselitismo.

 

Nella omelia della messa celebrata alla domus di Santa Marta in Vaticano il 26 gennaio scorso , Jorge Mario Bergoglio ha esplicitato la sua visione di una Chiesa testimone: «La fede va trasmessa con la testimonianza che dà forza alla parola, mentre il male fa contro-testimonianza: toglie la fede e indebolisce la gente». Rivolgendosi a braccio ai luterani ricevuti in udienza il 13 ottobre 2016 nell’Aula Paolo VI, Francesco ha chiarito che «il proselitismo è il veleno più forte contro il cammino ecumenico». Parole inequivocabili che rientrano in una visione al tempo stesso pastorale e geopolitica.

 

«Non è lecito convincere della tua fede». Ad una domanda sulla Sassonia, dove l’80% della popolazione non si dichiara appartenente a nessuna convinzione religiosa («Devo convincerli della mia fede? Cosa devo dirgli per convincerli?»), il Papa rispose: «L’ultima cosa che tu devi fare è: «dire». Tu devi vivere come cristiano scelto, perdonato e in cammino. Tu devi dare testimonianza della tua vita cristiana», che così arriva al «cuore» dell’altro, e «da questa inquietudine nasce una domanda: ma perché quest’uomo, questa donna, vive così? Questo è preparare la terra perché lo Spirito Santo, che è quello che lavora, faccia quello che deve fare: lui deve fare, non tu».

 

Non si tratta di mettere bandierine su una cartina geografica per competere alle altre fedi pezzi di territori, bensì di testimoniare la fede in un mondo sempre più interconnesso e globalizzato. A Philadelphia, nell’Indipendence Hall, a fine settembre 2015, Francesco parla agli immigrati, in gran parte ispanici , dal leggio che nel 1863 venne usato dal presidente Abraham Lincoln per pronunciare il discorso di Gettysburg, quando proclamò l’uguaglianza degli esseri umani dopo la sconfitta degli Stati Confederati del sud contrari all’abolizione della schiavitù. «La globalizzazione non è cattiva, al contrario, la tendenza alla globalizzazione è buona, ci unisce. Quello che può essere cattivo è il modo di farla. Se pretende di rendere tutti uguali, come in una sfera, distrugge la ricchezza e la particolarità di ogni popolo». Invece «se cerca di unire tutti, ma rispettando ogni persona, la sua ricchezza, la sua peculiarità, ogni popolo, quella globalizzazione è buona e ci fa crescere tutti e porta alla pace. Mi piace la geometria: se la globalizzazione è una sfera nella quale ogni punto è uguale, equidistante dal centro, annulla, non è buona; se, invece, la globalizzazione unisce, come un poliedro nel quale tutti sono uniti e ognuno conserva la propria identità, allora è buona e fa crescere un popolo, e dà alle persone dignità e le conferisce dei diritti».

 

Il 6 maggio 2016, ricevendo il Premio Carlo Magno , il Pontefice ha delineato una «alleanza» per un’Europa più larga e profonda e, in un tempo di etno-nazionalismi, Francesco ha proposto «coalizioni», non politico-militari, ma «culturali, educative, filosofiche, religiose» per l’Europa e la pace. «Armiamo la nostra gente con la cultura del dialogo e dell’incontro», ha detto. Il pensiero economico di Francesco va oltre Marx contro la «globalizzazione dell’indifferenza«. Dopo la scelta di campo di Wojtyla a favore dell’Occidente capitalista rispetto all’Oriente comunista e il modello ratzingeriano delle «élite creative», la «svolta a sinistra» e il Vangelo sociale di Bergoglio richiamano alla memoria l’apertura modernizzatrice vissuta dalla Chiesa con il passaggio da Pio XII a Roncalli.

 

In un mondo globalizzato e multilaterale, Francesco sostiene e favorisce l’impegno di mediazione politica e i tentativi di perequazione economica delle organizzazioni internazionali, come ha recentemente dimostrato nel messaggio al 30° Summit dell’Unione Africana che si è svolto ad Addis Abeba . A partire dalle emergenze e dalle questioni che toccano più da vicino la popolazione. Per sradicare la fame in Africa, secondo Francesco, occorre affrontare la questione dei cambiamenti climatici e quella dei numerosi conflitti che investono il continente. «Dobbiamo chiederci, tuttavia, quale ruolo svolge in questa situazione tragica, in cui sono in gioco milioni di vite, la mancanza di solidarietà- raccomanda il Papa-.La situazione sempre più difficile in Africa richiede una rinnovata cooperazione nei confronti di quei popoli che, per vari motivi, non possono soddisfare i loro bisogni umani fondamentali. La dignità di ogni persona umana richiede la rimozione degli ostacoli alla soddisfazione di ciascuna necessità nel rispetto dei principi di giustizia distributiva».

 

Per questo la Santa Sede sostiene le misure adottate dall’Unione africana in stretta cooperazione con la Fao. «Chi ha fame non può più aspettare, né dovrebbe accontentarsi di un’azione inadeguata- avverte il Pontefice -. È necessario il coinvolgimento di stati e istituzioni internazionali di altri continenti per assicurare solidarietà globale e responsabilità, evitando meccanismi ingiusti che impediscono un giusto accesso ai frutti della terra». La globalizzazione della solidarietà come antidoto alla legge del più forte che produce ovunque conflitti sociali e iniquità economiche.

Giacomo Galeazzo – VaticanInsider

Chiesa cattolica svizzera

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