Servono nuove forme di alleanze tra cittadini e istituzioni contro le fake news

Mons. Viganò, quello di quest’anno è il secondo messaggio del Santo Padre da quando è «operativa» la Segreteria per la comunicazione. Ciò che accomuna i due testi è l’orizzonte biblico, richiamato già dal titolo: «Non temere, perché io sono con te» (Is 43,5), nel 2017; «La verità vi farà liberi» (Gv 8,32), nel 2018.

Non è una scelta casuale. Tutto il messaggio, infatti, anche nelle sue note di attualità, poggia su una forte radice biblica, così come quello dello scorso anno. Il Santo Padre, sin dall’inizio del testo, richiama gli episodi di Caino e Abele e della Torre di Babele (Gen 4,1-16; 11,1-9), proprio per spiegare che quando «l’uomo segue il proprio orgoglioso egoismo, può fare un uso distorto anche della facoltà di comunicare». Come non ricordare, al riguardo, la Lettera agli Ebrei? «Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo» (Eb,1,1-2). Tutta la storia della salvezza, cioè dell’alleanza continuamente rinnovata da Dio fedele con il popolo spesso infedele, è un dialogo intessuto di chiamate, richiami e benedizioni. Fino alla manifestazione di Gesù che, come dice il testo, è la Verità. Questa è la pietra miliare del messaggio, su cui poggiano poi le riflessioni e l’invito finale del Papa a «promuovere un giornalismo di pace». «Io sono la verità» (Gv 14,6) non è un’affermazione concettuale o una conoscenza astratta. In Cristo le due nature, quella umana e quella divina, non si confondono ma si co-appartengono in una unità personale. La rivelazione di Dio in Cristo custodisce l’alterità rendendo così la verità segnata dalla relazione. Solo questo libera l’uomo: «La verità vi farà liberi» (Gv 8,32).

Dunque un forte richiamo alla qualità delle relazioni che giunge dalla cornice biblica…

Nella prospettiva relazionale si coglie in modo chiaro quanto la comunicazione possa costruire e quanto possa uccidere. Caino e Abele, come anche la Torre di Babele, ne sono la dimostrazione evidente. Non solo… C’è un bellissimo testo di Dostoevskij, che il Santo Padre cita nel messaggio: «Chi mente a sé stesso e ascolta le proprie menzogne arriva al punto di non poter più distinguere la verità, né dentro di sé, né intorno a sé, e così comincia a non avere più stima né di sé stesso, né degli altri. Poi, siccome non ha più stima di nessuno, cessa anche di amare, e allora, in mancanza di amore, per sentirsi occupato e per distrarsi si abbandona alle passioni e ai piaceri volgari, e per colpa dei suoi vizi diventa come una bestia; e tutto questo deriva dal continuo mentire, agli altri e a sé stesso» (I fratelli Karamazov, II, 2). Interroghiamoci, dunque, sulla qualità del nostro rapporto con gli altri e con noi stessi. «La comunicazione umana – ricorda il Papa – è una modalità essenziale per vivere la comunione». Ma se le nostre relazioni sono avvelenate, che comunione potremmo mai vivere?

A complicare le cose, poi, ci sono le false notizie, le cosiddette fake news. Non sono anch’esse causa di questo avvelenamento?

Le fake news sono uno degli elementi che avvelenano le relazioni. Sono notizie dal sapore veritiero, ma di fatto infondate, parziali, quando non addirittura false. Nelle fake news il problema non è la non veridicità, che è molto evidente, ma la verosimiglianza. Nel messaggio il Santo Padre ne parla diffusamente, richiamando la strategia utilizzata dal «serpente astuto», di cui parla il Libro della Genesi, «il quale, ai primordi dell’umanità, si rese artefice della «prima fake news» (cfr. Gen 3,1-15), che portò alle tragiche conseguenze del peccato, concretizzatesi poi nel primo fratricidio (cfr. Gen 4) e in altre innumerevoli forme di male contro Dio, il prossimo, la società e il creato». Si fa fatica a riconoscere le fake news perché hanno una fisionomia mimetica: è la dinamica del male che si presenta sempre come un bene facilmente raggiungibile. L’efficacia drammatica di questo genere di contenuti sta proprio nel mascherare la propria falsità, nel sembrare plausibili per alcuni, agendo su competenze, attese, pregiudizi radicati all’interno di gruppi sociali più o meno ampi. Per questo, le fake news sono particolarmente insidiose, dotate di una capacità di presa e di tenuta purtroppo notevoli. Aspetti acuiti dal ruolo dei social network nell’innesco e nella propagazione, che, uniti a un utilizzo manipolatorio, finiscono per sfociare in forme di intolleranza e odio.

Quale antidoto al veleno delle fake news?

Le false notizie, di fatto, nascono dal pregiudizio e dall’incapacità di ascolto. «Il più radicale antidoto al virus della falsità – scrive il Santo Padre nel messaggio – è lasciarsi purificare dalla verità». Solo così potremmo contrastare, sin dal loro sorgere, pregiudizi e sordità, che non fanno altro che stoppare ogni forma di comunicazione, chiudendo tutti in un circolo vizioso. La capacità di ascolto e, quindi, di dialogo esige una maturità umana tale da favorire adattamenti alle diverse e impreviste circostanze. La comunicazione non è solo trasmissione di notizie: è disponibilità, arricchimento reciproco, relazione. Solo con un cuore libero e capace di ascolto attento e rispettoso, la comunicazione può costruire ponti, occasioni di pace senza infingimenti. Tutto questo ci esorta a non arrenderci nella ricerca e nella propagazione della verità, soprattutto nell’educazione dei giovani. Come ricordava Paolo VI (cfr. Messaggio 1972: «Le comunicazioni sociali al servizio della verità»): «L’uomo, e tanto maggiormente il cristiano, non abdicherà mai alla sua capacità di contribuire alla conquista della verità: non solo quella astratta o filosofica, ma anche quella concreta e quotidiana dei singoli accadimenti: se lo facesse, danneggerebbe con ciò stesso la propria dignità personale».

In che modo i giornalisti e le istituzioni possono mettere in pratica questo messaggio?

Anzitutto credo sia utile riportare al centro del dibattito la responsabilità della comunicazione. Questo valore, unitamente alla libertà di espressione, è capace di rendere la comunicazione stessa luogo di ascolto, di dialogo e persino di dissenso sebbene nelle forme della normale dialettica dell’interazione. Dunque, partendo dai requisiti di base richiesti dalla deontologia professionale, è necessario ricostruire il contesto affinché i fatti riportati posseggano una luce autentica senza ombre di mezze verità o di verosimiglianze. In questo processo penso che sia i cittadini sia le istituzioni debbano trovare nuove forme di alleanze che vanno dalla scuola alla politica fino alle federazioni professionali. Diversamente, la professione giornalistica  perderà oltre alla credibilità anche la propria identità.

Massimiliano Menichetti –  Città del Vaticano  – VaticanNews

Chiesa cattolica svizzera

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