Il ricordo di Martin Luther King dei vescovi americani

Ancora ferma e decisa la voce che si leva in questi giorni negli Stati Uniti da parte dei vescovi cattolici: si rivolgono al presidente e ai membri del Congresso, ma anche a tutti i loro connazionali indipendentemente da ogni credo religioso. Sono parole all’insegna del dialogo e della convivenza pacifica all’interno di una società americana sempre più frammentata se non addirittura lacerata da un razzismo che riemerge dalle braci mai del tutto spente, parole che intendono riallacciare relazioni e soprattutto educare all’accoglienza di chi bussa alle porte della Nazione più ricca del mondo per migliorare la propria condizione e alla solidarietà con più deboli.

 

In questo contesto giunge la dichiarazione del 10 gennaio in merito alla ripresa della discussione a Washington della nuova legge sull’immigrazione, anche alla luce dello stop giudiziario venuto da San Francisco. Ai vescovi, come testimoniano gli interventi dei mesi scorsi, sta a cuore in particolare la situazione dei «Dreamers», i minori immigrati illegalmente cui l’amministrazione Obama aveva trovato una soluzione che si voleva cancellare.

 

«Per anni questi giovani hanno vissuto e arricchito gli Stati Uniti Stati in molti modi: essi contribuiscono alla nostra economia, alle nostre forze militari, ai risultati accademici nelle nostre università e a parrocchie e comunità, e loro e le loro famiglie meritano più che mai una certezza di vita, la nostra compassione, generosità e giustizia», ha detto Joe S. Vásquez di Austin, in Texas, presidente della Commissione episcopale per le migrazioni che aggiungeva, mettendo in guardia dall’introduzione di nuovi elementi che possano dividere le famiglie: «Crediamo in misure che migliorino la sicurezza della nostra Nazione. Il nostro insegnamento di morale sociale riconosce e rispetta il diritto delle nazioni sovrane di controllare i propri confini. Tali misure, però, dovrebbero essere sostenibili dal punto di vista finanziario ed efficaci, senza arrecare danno ai più vulnerabili». «Come nazione – concludeva monsignor Vásquez – abbiamo un obbligo morale e umanitario nei confronti dei «Dreamers», il cui futuro è in bilico».

 

Nella stessa giornata dalla sua diocesi di Galverston-Houston in Texas il presidente della Conferenza episcopale, l’arcivescovo Daniel Di Nardo, rilasciava una dichiarazione in merito alla prossima ricorrenza del «Martin Luther King Jr. Day», festa civile negli Stati Uniti in calendario lunedì 15 gennaio.

 

«Negli ultimi anni – compresa l’estate scorsa a Charlottesville in Virginia – abbiamo assistito ad una verità drammatica che si nasconde sotto la superficie della cultura americana e, nonostante tutti i progressi compiuti dal nostro Paese sulla questione, dobbiamo constatare che il razzismo rimane una realtà ancora presente e vitale. La ricorrenza della giornata dedicata a Martin Luther King Jr., ci offre quest’anno un’occasione privilegiata per rinnovarci nella direzione dei valori evangelici che lui ha predicato, in modo tale che il peccato del razzismo possa essere sconfitto dall’amore fattivo alla luce della fede».

 

Il «Martin Luther King Jr. Day» (ogni terzo lunedì del mese di gennaio) venne istituito nel 1986, su proposta del presidente Reagan, allo scopo di onorare la memoria di un gigante della non violenza (di cui il prossimo 4 aprile ricorrerà il 50° anniversario dell’assassinio a Memphis), ma si dovette attendere fino al 1993 su sollecitazione di Bill Clinton perché fosse recepito e celebrato in tutti i 50 Stati americani.

 

«Lungo la strada della vita, qualcuno deve avere il buon senso e una morale così efficace da interrompere definitivamente la catena dell’odio. Questo può essere fatto solo ponendo le ragioni dell’amore al centro della nostra vita», è la citazione da un testo del 1958 scelta da Di Nardo per esplicitare il suo pensiero con l’appello a raccogliere la sfida del pastore King nel momento presente.

 

«Rompere la catena dell’odio richiede sia coraggio che impegno» conclude il presidente dei vescovi statunitensi, aggiungendo il ricordo della testimonianza di suor Mary Antona Ebo, una religiosa delle francescane di Maria e prima sorella afro-americana a marciare con King il 10 marzo 1965 a Selma in Alabama, morta l’11 novembre scorso a 93 anni di età: «Una coraggiosa e devota campionessa di diritti civili per tutta la vita e la sua testimonianza dovrebbe ispirare la nostra vita». «Sono qui perché sono anch’io nera, ma anche suora e cattolica e soprattutto perché voglio testimoniare», aveva detto la religiosa a chi gliene chiedeva conto.

 

All’esempio di Martin Luther King si era richiamato anche il gesuita George Murry, vescovo di Youngstown, presidente della Commissione contro il razzismo istituita in seno alla Conferenza episcopale. Alla Conferenza stampa a Washington del 2 ottobre scorso, a seguito dei tragici eventi di Las Vegas si era espresso così: «Abbiamo troppa violenza nella nostra società e tutto ciò che diciamo comincia a sembrare banale e ripetitivo. Come società, dobbiamo tutti smettere di inventare scuse e impegnarci in un movimento per la nonviolenza che coinvolge tutti noi. Ma abbiamo bisogno di qualcosa di più, qualcosa di più profondo che porti ad una vera conversione. Una società è più di un insieme di persone che stipulano contratti, più di un gruppo di persone che ascoltano la stessa musica».

 

«È una comunità e se non recuperiamo la consapevolezza di essere insieme, perché siamo un’unica famiglia, temo che non saremo in grado di fermare le tendenze violente che stiamo registrando. Il Papa ha parlato della terra come nostra «casa comune», ed è vero. Ma è così anche per una società che è una casa dove c’è bisogno della cura reciproca, del rispetto e sì, anche dell’amore. Comprendiamo la dignità intrinseca di ogni essere umano? Ci sono segni che dicono di sì, ma ancora non basta. La chiamata alla nonviolenza di fronte all’ingiustizia – una grave ingiustizia – è stata al centro della visione e del lavoro di Martin Luther King. La sua nonviolenza è stata una posizione eroica di fronte al peccato grave e ha fatto la differenza. Dati gli eventi recenti, è importante riprendere questa visione. Abbiamo una lunga strada da percorrere, non con un facile ottimismo, ma con speranza».

MARIA TERESA PONTARA PEDERIVA (VaticanInsider)

Chiesa cattolica svizzera

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