Celli: ecco cosa ci insegna Teresa, «Patrona delle missioni»

Il 14 dicembre del 1927, giusto 90 anni fa, Pio XI proclamò Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo co-patrona delle missioni, insieme a San Francesco Saverio. Proprio lei, la carmelitana che consumò la sua breve e fragile vita – morì a soli 24 anni – tra le mura del Carmelo di Lisieux, all’apparenza così lontano dalle fatiche e dai problemi di quelle che allora si chiamavano «le terre di missione».

L’arcivescovo Claudio Maria Celli dedicò già nel 1969 la propria tesi dottorale in teologia alla vocazione missionaria di Teresa. Lui vede anche oggi nella scelta di Papa Pio XI un suggerimento profetico e fecondo per tutti quelli chiamati a dare il proprio contributo all’azione apostolica della Chiesa. E anche un buon antidoto a ogni riduzione ideologica del dinamismo proprio della missionarietà cristiana. Imparagonabile rispetto a ogni forma di propaganda culturale o religiosa.

 

Teresa di Lisieux racconta il suo desiderio di essere missionaria. Ma allora perché sceglie di entrare in un monastero di clausura?

«La vicenda di Teresa di Lisieux mostra in maniera definitiva l’inconsistenza di certe contrapposizioni tra «vita attiva» e «vita contemplativa». In lei la vocazione carmelitana non è mai separata da una sollecitudine apostolica che ha per orizzonte il mondo. «Vorrei essere missionaria, non soltanto per qualche anno, vorrei esserlo stata fin dalla creazione del mondo, e esserlo fino alla consumazione dei secoli», scrive Teresa nel suo diario. Il suo desiderio sembrò pure concretizzarsi, quando si offrì di partecipare alla fondazione di un carmelo a Hanoi. Ma nello stesso tempo si erano manifestati i primi sintomi della tubercolosi, che la consumerà in breve tempo».

 

Quale è per Teresa il fine di ogni sollecitudine apostolica?

«Salvare le anime. «Quello che venivo a fare al Carmelo» scrive Teresa «lo dichiarai ai piedi di Gesù Ostia, nell’esame che precedette la mia professione: sono venuta per salvare le anime, e specialmente per pregare per i sacerdoti». Questo, per Teresa, vuol dire una cosa sola: «amare Gesù e farlo amare». Chiedere di essere attirata da Lui per attirare a Lui tutti gli altri. Teresa, si accorge che potrà donare a Cristo solo le anime che Lui stesso le avrà donato in precedenza. Dio fa desiderare quello che vuole donare. È la «dinamica dei desideri», così presente in tutta la vita di Teresa. Solo dall’incontro e dall’amore per Gesù nasce la sollecitudine apostolica. Non è una pulsione auto-prodotta. E anche l’efficacia apostolica – riconosce fin dall’inizio Teresa – è dono di Dio, che si può solo domandare nella preghiera. Lei scrive che «far del bene alle anime, senza l’aiuto di Dio, è cosa altrettanto impossibile quanto far risplendere il sole durante la notte». Solo Cristo stesso, essendo vivo e operante, può attirare a sé le anime. Senza di Lui, l’attività di qualsiasi apostolo è inutile, destinata a essere senza frutto».

 

L’offerta totale di sé è la proposta di vita «eroica» che le viene proposta al Carmelo.

«Un’offerta di sé che a Teresa appare «grande e generosa». Ma poi lei si accorge che è lontana dal poterla far propria. Al primo compito che le viene affidato nel monastero, come collaboratrice nella crescita spirituale delle novizie, si accorge che il compito di «penetrare nel santuario delle anime» è «al di sopra delle mie forze»».

 

Questa scoperta cosa suscita in lei? 

«Teresina dapprima scruta con umiltà questa sua incapacità, pensando che scoprire la ragione dei propri limiti le permetterà di trovare rimedi. Poi, riconoscendo il proprio limite di creatura, si accorge che se Gesù la chiama a favorire la salvezza delle anime, solo Gesù stesso può darle i mezzi per assolvere il suo incarico. Seguendo questa via, avviene per Lei una svolta».

 

In cosa consiste?

«Nella scoperta che la stessa opera apostolica è opera di Cristo, e manifesta la realtà più intima del mistero di Dio, cioè la sua misericordia che perdona e guarisce. Dio stesso vuole abbassarsi per entrare in comunione con chi ha bisogno. Più l’uomo è misero, più il Signore si abbassa per attirarlo a sé. La sorgente di ogni missionarietà umana è la missionarietà stessa dell’amore di Dio, il suo venire incontro agli uomini e abbracciarli. Teresa sperimenta che non è più lei, la piccola carmelitana, che «agisce apostolicamente», ma è Dio stesso che esercita in terra, in maniera nuova, la sua misericordia verso gli uomini. Il punto di partenza, il punto sorgivo dell’opera missionaria non è la disposizione e il fervore apostolico di un essere umano, anche il più santo, ma solo il divino operare di Dio misericordioso, che vuole salvare, e per questo è propenso a dare il perdono a ogni uomo».

 

Papa Francesco, citando Papa Ratzinger, ripete sempre che la Chiesa cresce non per proselitismo, ma per attrattiva. Una dinamica richiamata di continuo anche da Teresa di Lisieux. 

«»Attirami, noi correremo all’odore dei tuoi profumi», sta scritto nel Cantico dei Cantici. Quel passo del Cantico colpisce Teresa. Lei riconosce che la attrattiva è la dinamica propria con cui si comunica l’opera di salvezza e redenzione di Cristo. È la «Delectatio" o «dilectio«, l’attrattiva amorosa della grazia, come la chiamava Sant’Agostino. E questa attrattiva di Cristo è l’unica forza dinamica di ogni lavoro apostolico. L’apostolo, il missionario, è colui che può attirare altri a Cristo solo perché lui è a sua volta attirato. Solo perché attraverso di lui si esercita la attrattiva di Cristo. «Attirandomi» scrive Teresa. «attirate le anime che amo: Questa semplice parola, ’attirami’, basta»».

 

Cosa suggerisce tutto questo rispetto all’opera apostolica e missionaria della Chiesa?

«In un’epoca in cui anche nella Chiesa l’attenzione sembra tutta concentrata su mezzi e metodi per «animare cristianamente» il mondo, certe volte sembrano sparite dall’orizzonte le parole di Gesù, che offrono un criterio definitivo per considerare ogni ministero apostolico o ecclesiale: «Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre mio che mi ha mandato». Teresa riconosce che la missione è tutta lì, in questa forza d’attrazione della grazia che opera in chi è unito a Cristo: «Quanto più dirò: ’attirami’ – scrive nel suo diario – tanto più le anime che si avvicineranno a me (povero, piccolo rottame di ferro inutile, se mi allontanassi dal braciere divino) correranno rapidamente all’effluvio dei profumi de loro Amato»».

 

Una modalità che appare imparagonabile alle propagande e ai sistemi architettati per instillare negli uomini credenze e convinzioni, anche religiose…

«Teresa ripete che chi è attirato dalla grazia di Cristo si muove «senza costrizione» e «senza sforzo». E solo così si diventa cristiani. La forza operante di Cristo vivo attira a sé così i cuori degli uomini, senza coazione, e non per effetto di faticosi percorsi e cammini impervi di preparazione e formazione».

 

C’è chi dice che nell’opera apostolica/missionaria prima viene l’annuncio, la proposta delle «verità cristiane», e poi vengono le attività di aiuto, le opere di carità e misericordia. Cosa suggerisce a questo riguardo la santa di Lisieux?

«In Teresa non si ritrova questa dialettica delle priorità tra annuncio e opere, neppure in forma sfumata. Per lei l’opera apostolica passa sempre attraverso i gesti concreti della carità fraterna. Raggiunge le esistenze reali di chi vive nella condizione terrena soltanto come «Caritas«. Lei ripete che «la carità fraterna è tutto sulla terra. Si ama Dio nella misura in cui la si pratica». E questo perché ogni gesto di carità non è l’applicazione pratica di una dottrina corretta, ma è un gesto operato da Cristo stesso, che muove le anime unite a lui: «Lo sento, quando sono caritatevole» riconosce Teresina «è Gesù solo che agisce in me»».

 

Ma poi, per Teresa arriva la malattia, e l’avvicinarsi della morte. Che effetto ha tutto questo sulla sua sollecitudine apostolica? 

«La condizione della malattia, e poi la morte, mortificano e alla fine cancellano fatalmente ogni impulso di proselitismo, ogni fervore di militanza. Invece Teresa guarda alla morte come il passaggio a una condizione che renderà più efficace e fruttuosa la sua vocazione apostolica. Lei sa già che «passerà il suo cielo a far del bene sulla terra». La fede di Teresa nella vita futura non è una beata ma inattiva contemplazione di Dio, ma apertura verso una attività apostolica più intensa. «Ben più di quaggiù, io sarò utile alle anime che mi sono care». Basterebbe questa fiducia, la fiducia nell’efficacia della comunione dei santi, a segnare la differenza sostanziale che distingue l’opera apostolica da ogni forma di mobilitazione propagandistica per cercare nuovi «adepti»».

 

Oltre a tutto questo, Teresa fu scelta come «sorella spirituale» di due missionari, che accompagnava con le sue preghiere. Uno svolse la sua missione in Cina. Cosa può suggerire oggi Teresa patrona delle missioni ai cristiani di quel Paese?

«Io credo che Teresa può essere un punto di riferimento anche per la Chiesa in Cina. Papa Benedetto, nella sua Lettera ai cattolici cinesi, ha scritto che anche loro non sono chiamati solo a sopravvivere alle difficoltà, ma anche ad annunciare il Vangelo, cioè ad «amare Gesù e farlo amare», nelle condizioni concrete in cui si trovano. In questo, Teresa può essere di conforto a ciascuno di loro. Lei che ha amato Gesù e lo ha fatto amare anche nella condizione di malattia e di sofferenza in cui si trovava».

 

E cosa può suggerire a tutti noi?

«Tante cose. Può anche fornire antidoti all’astrattezza presuntuosa di certi progetti tutti appoggiati sul dispiegamento dei propri ragionamenti e delle capacità umane. O sulla pretesa abilità di imporre un certo discorso. Può confortare chi soffre per l’insuccesso di una sincera dedizione apostolica. Ma soprattutto, come ha suggerito Papa Benedetto XVI, possiamo tutti godere del fatto che «la strada percorsa da Teresa è alla portata di tutti», proprio perchè «è la strada della fiducia totale in Dio»».

Gianni Valente – VaticanInsider

Chiesa cattolica svizzera

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