Il Ciad, gli integralisti e l’alleanza tra cristiani e musulmani

«In Ciad, negli anni Settanta del secolo scorso, i rapporti tra cristiani e musulmani erano ottimi. I fedeli islamici erano molto aperti al dialogo e facevano frequentare ai loro figli le scuole cattoliche. I matrimoni misti erano una consuetudine, si lavorava insieme in pace. Successivamente questo clima sereno è stato compromesso sia dalla guerra civile sia dall’intervento dei Paesi arabi: in questi ultimi anni sono giunti qui nel nord emissari dell’Arabia Saudita e dei Paesi del Golfo: sono integralisti, predicano un Islam chiuso, vogliono seminare divisione, ostacolano i matrimoni misti e ogni forma di collaborazione tra musulmani e cristiani, che loro chiamano «impuri»». Così inizia il suo racconto padre Franco Martellozzo, gesuita, 79 anni. Giunto in Ciad nel 1963, vive a Mongo, nel nord del Paese, in un’area situata tra il Sahel e il Sahara. Nel territorio della diocesi – dove operano sette sacerdoti, tre dei quali gesuiti (incluso il vescovo) – la stragrande maggioranza della popolazione professa la fede islamica: i cristiani (cattolici e protestanti) sono solo il 3%. Padre Franco guida in qualità di parroco piccole comunità che sono distribuite su un’area grande quanto l’Italia del nord.

Dove c’è Dio  

I pronunciamenti dei predicatori stranieri hanno sortito effetti diversi, racconta: in alcuni villaggi le comunità cristiane e musulmane si sono allontanate e, ad esempio, hanno smesso di festeggiare insieme le rispettive ricorrenze religiose. In molte altre località, invece, sono state le stesse comunità musulmane a mandar via gli emissari dopo aver espresso l’intenzione di continuare a vivere insieme ai cristiani, che facevano del bene a tutta la popolazione. «Ricordo un episodio emblematico: in una cittadina erano giunti emissari dei Paesi arabi del Golfo che intimavano ai fedeli musulmani di evitare ogni contatto con i cristiani. I fedeli replicarono che i cristiani erano buoni amici dai quali – nel momento del bisogno – avevano ricevuto un aiuto decisivo e disinteressato. Ricordo ancora le loro parole: dissero: «dove c’è un gesto gratuito di aiuto, lì c’è Dio». E scacciarono gli integralisti».

 

Alleanza operosa  

«Attualmente questi predicatori stranieri stanno perdendo terreno», sottolinea padre Franco: «Sono convinto che ciò sia dovuto in larga misura all’imponente rete di attività che la Chiesa cattolica ha avviato in questi decenni coinvolgendo tutta la popolazione. La convivenza pacifica e serena tra cristiani e musulmani non si costruisce a tavolino, discutendo di teologia: si edifica affrontando e risolvendo insieme i problemi della vita, prendendosi cura dei bisogni primari delle persone: cibo, acqua, scuola, salute. Lo dico anche pensando a quanto accade in Europa: la paura non risolve alcunché: se noi missionari e le nostre piccole comunità avessimo avuto paura dei musulmani, saremmo rimasti chiusi nel nostro mondo: invece, scegliendo di andare incontro con benevolenza a tutti, abbiamo costruito un orizzonte nuovo che permette alla popolazione di vivere serenamente».

 

Le banche dei cereali  

Quando padre Franco giunse in questo territorio scoprì che moltissime persone, nei periodi di forte siccità, pur di procurarsi il cibo si rivolgevano agli usurai e, indebitandosi pesantemente, finivano per andare a lavorare, quasi come schiavi, nei campi dei loro creditori. Per risolvere il problema, insieme a un confratello spagnolo, inventò le «banche dei cereali»: «Il sistema è semplice», spiega: «La banca possiede, stoccati, sacchi di cereali (soprattutto miglio) e nei periodi di siccità le persone possono farne richiesta con l’impegno di restituire il prestito dopo il successivo raccolto. In questo modo le famiglie non si indebitano più con gli usurai, che infatti stanno scomparendo. Attualmente le banche dei cereali sono 350 (una in ogni villaggio): sono gestite direttamente dagli abitanti cristiani e musulmani e, complessivamente, ne beneficiano 600.000 persone».

 

Gli orti e le dighe  

Per assicurare l’autosufficienza alimentare delle famiglie, padre Franco, insieme alla sua équipe, ha promosso anche gli orti comunitari dei quali si occupano, insieme, donne cristiane e musulmane: «Ad ogni villaggio nel quale la popolazione femminile si è organizzata per dare vita a uno di questi orti noi offriamo il denaro (circa 5.000 euro) per il pozzo dell’acqua in cemento: sono poi gli abitanti a organizzarsi per costruirlo. Oggi gli orti sono 150 e le richieste per la realizzazione dei pozzi sono in continuo aumento. Abbiamo coinvolto la popolazione femminile anche in un’altra attività: la costruzione di piccole dighe, necessarie affinché l’acqua possa alimentare le falde acquifere».

 

Le scuole popolari  

In questa area del Ciad, dove gli istituti scolastici statali sono presenti in numero esiguo, padre Franco, con i propri collaboratori, ha promosso anche le scuole popolari, che oggi sono quaranta. Nei villaggi i genitori cristiani e musulmani che desiderano istruire i loro figli devono fondare una cooperativa e presentare domanda alla Chiesa cattolica, la quale provvede a fornire il materiale edile. Sono poi i membri della cooperativa a costruire la scuola, a cercare e a retribuire i maestri che vengono formati dalla Chiesa.

 

«Ideando tutte queste opere (che includono anche presidi sanitari) e affidandone la gestione agli abitanti dei villaggi, siamo stati mossi da un triplice obiettivo: responsabilizzare la popolazione, favorire la permanenza delle famiglie in questo territorio, evitando dolorose emigrazioni, incoraggiare l’alleanza operosa tra cristiani e musulmani. Come dicevo, se in molti villaggi il messaggio di un Islam radicale non è riuscito a farsi strada si deve alla collaborazione che unisce i fedeli delle due religioni. E anche a un progetto, ideato recentemente, che renderà ancora più saldi i rapporti».

 

Alberi per restare uniti  

Il progetto coinvolge i bambini cristiani e musulmani delle scuole popolari che, periodicamente, sono invitati a piantare insieme decine di alberi per contrastare il processo di desertificazione: «Con questo gesto semplice e dal grande valore simbolico, li abituiamo a operare uniti per il bene del Paese, trasmettendo loro il senso della comunità, spiegando l’importanza di restare saldi nella cooperazione per fermare tutto ciò che danneggia il popolo. Con queste parole ci riferiamo, evidentemente, non solo al deserto ma anche agli emissari integralisti», afferma padre Franco, che aggiunge: «I capi villaggio musulmani sono molto contenti perché si sentono aiutati a resistere alla pressione dei predicatori stranieri e anche le autorità civili, che hanno grande stima della Chiesa cattolica, sono dalla nostra parte. Il Ciad è uno stato laico, ogni forma di predicazione aggressiva, che minaccia l’unità della nazione, non è vista di buon occhio».

 

L’amico musulmano  

Fra gli amici di padre Franco vi è Khadam Daouro: 41 anni, musulmano, sposato e padre di 5 figli, vive a Mongo ed è un insegnante molto contento del proprio lavoro. «Nella grande maggioranza dei casi – dice – i rapporti tra cristiani e musulmani sono ottimi, caratterizzati da correttezza e rispetto reciproci. All’interno delle stesse famiglie vi sono fedeli delle due religioni, che vivono insieme in fraternità. Penso che il nostro modo di vivere possa costituire un modello per altri Paesi che purtroppo conoscono problemi a motivo della religione. Certo, vi sono gruppetti di integralisti che considerano «haram», ossia impure, tutte le usanze degli occidentali, dei «bianchi», ma costoro – secondo me e secondo la maggior parte di noi – travisano il Corano».

 

Il bene del Paese  

Khadam ha parenti e amici cristiani e presta servizio come volontario in una associazione, suggeritagli da padre Franco, nella quale cristiani e musulmani seguono insieme la costruzione dei pozzi e il progetto di rimboschimento. «Mi piace moltissimo prestare servizio in questa associazione perché promuove un progetto di auto-sviluppo che sradica la mentalità passiva della popolazione, consente agli abitanti dei villaggi poveri di sconfiggere la miseria e fa prendere coscienza che la promozione dello sviluppo non è un’attività confessionale, legata alla Chiesa cattolica, ma un’opera per il bene comune». Riflettendo sul suo Paese osserva: «Il Ciad necessita del contributo di tutti i suoi cittadini, senza che si facciano distinzioni né che si inneschino diatribe religiose o etniche. L’esempio dei religiosi cattolici, che sanno lavorare insieme, è essenziale per coinvolgere i recalcitranti in questo movimento teso a rafforzare la coesione sociale. Sono persuaso che le religioni debbano creare fraternità operosa, non divisione, che è causa di sottosviluppo».

Chiesa cattolica svizzera

https://www.catt.ch/newsi/ciad-gli-integralisti-lalleanza-cristiani-musulmani/