Restituire l'uomo all'uomo

Anima. Ho capito che ci vuole anima per fare un mestiere, fosse anche quello difficile e controverso di «giudicare» come un magistrato e costringere una persona a scontare una pena. Ho capito che anche questo compito ingrato può essere fatto con molta umanità e, soprattutto, che ci si può prendere cura anche dell’anima di un «colpevole», categoria dell’umano scomoda, davanti alla quale, spesso, tendiamo a chiudere gli occhi. Queste e altre riflessioni ha suscitato in me la serata pubblica organizzata dal Rinnovamento nello Spirito cui ho assistito qualche giorno fa, dal titolo «Che cos’è la giustizia riparativa?». Una conferenza, invero, alla quale secondo me avremmo dovuto essere in tanti. Anzitutto perché giudicati, osservati, criticati ci ritroviamo ad essere sempre un po’ tutti, immersi in una società che, allontanatasi dai valori cristiani, spesso diventa, più o meno consapevolmente, un «tribunale». Ma c’è un percorso di speranza che ci attende anche lì, nelle piaghe del giudizio. È la possibilità di una rinascita, di una rivalutazione di noi stessi, soprattutto quando il giudizio ci indica uno sbaglio reale, diventando così un’occasione di crescita. E allora si apre una nuova prospettiva: non bisogna abbattersi, ma cercare un rimedio, un rimedio che anzitutto passa dal guardare in faccia l’errore compiuto e chiamarlo per nome. Questione di coraggio, certo, ma anche via di libertà, pulizia totale dell’anima dalle scorie del risentimento. Con quest’ultimo, infatti, non si va lontano. Lo sanno bene i detenuti del carcere di Opera di Milano, di cui ci ha parlato durante la serata il direttore, Giacinto Siciliano. Uomini e donne che hanno avuto l’occasione di affrontare il mostro peggiore faccia a faccia: incontrare le vittime dei loro reati, nel contesto del progetto portato avanti da Prison Fellowship Italia. L’associazione nasce dall’esperienza statunitense dell’organizzazione omonima che, a partire dal 1976, per opera di Charles Wendell Colson – braccio destro del presidente Richard Nixon e coinvolto nel caso Watergate – ha dato il via ad una missione di recupero e riqualificazione dei detenuti, anche attraverso l’evangelizzazione delle carceri, luogo degli ultimi per eccellenza. Un progetto a dir poco sconvolgente che mira al risveglio delle coscienze, un risveglio che in vero abbiamo bisogno tutti noi, intorpiditi da tanti idoli, che tante volte ci rendono incapaci di assumerci le nostre responsabilità. Si parte anche in questo caso da un piccolo tassello, essenziale: cambiare le persone è cambiare la società. Infatti, il reato è anzitutto qualcosa che inficia il rapporto benevolo tra le persone. Grazie a Prison Fellowship, che promuove l’incontro di detenuti e vittime, cambia qualcosa di fondamentale: laddove il tempo, per il detenuto, ma anche per le vittime, si è fermato al giorno del reato, c’è la possibilità di riparare «l’orologio», di poter portare avanti le lancette bloccate, di far scorrere avanti la vita in una nuova inaspettata direzione. Un progetto di umanizzazione, insomma, che mira a restituire l’uomo all’uomo, attraverso un programma di guarigione del cuore. Il colpevole così non sperimenta solo un cammino verso la liberazione, ma anche la gioia – importantissima, essenziale – della libertà interiore, che deriva dal perdono e che è alla base di ogni crescita. Un cammino che resta, in realtà, auspicabile per tutti noi: la possibilità di trovare un varco che consente di aprire la «porta» delle coscienze, un varco diverso per ciascuno ma non certo invalicabile. Buon risveglio!

Chiesa cattolica svizzera

https://www.catt.ch/blogsi/restituire-luomo-alluomo/