Catalogna e nazionalismi, la mediazione della Chiesa

Nazionalismi e populismi europei, con diverse colorazioni politiche, percorrono anche la Chiesa, ne mettono in tensione le istituzioni, ne orientano le scelte. E del resto, che una parte consistente del cattolicesimo catalano guardasse con favore alla causa indipendentista non è una novità degli ultimi giorni. Così, nel momento in cui lo scontro fra Barcellona e Madrid è entrato nel vivo, il clero catalano si è schierato in modo massiccio a favore del referendum e della secessione. Una lettera aperta di 400 preti e diaconi ha dato pieno sostegno «alle istituzioni catalane» e rovesciato sul governo centrale le accuse di tradimento dello stato di diritto e della democrazia. Una posizione analoga è stata presa dai monasteri cistercensi e benedettini femminili favorevoli «all’autodeterminazione» del popolo catalano. Vi era stato anche un appello al Papa affinché la Santa Sede esercitasse una mediazione in vista del referendum osteggiato dal governo spagnolo. Per altro, nell’avvitarsi della crisi, da parte delle stesse autorità catalane come del governo di Madrid, una possibile mediazione vaticana viene valutata assai positivamente.

LE DIOCESI CATALANE PER IL REFERENDUM. Non erano nemmeno mancati i pronunciamenti a sostegno della Catalogna ›nazione’ da parte degli stessi vescovi della regione; le 10 diocesi catalane riunite nella conferenza episcopale tarragonese solo lo scorso maggio parlavano di «legittime aspirazioni del popolo catalano» e chiedevano che fosse «considerata e valorizzata la specificità nazionale della Catalogna» in particolare la lingua e la cultura della regione, mentre doveva essere realmente promosso «tutto ciò che porta a una crescita e a un progresso complessivo della società soprattutto nel campo della sanità, dell’istruzione, dei servizi sociali e delle infrastrutture». Poi, nei giorni precedenti il referendum, l’appello al dialogo e alla calma, alla ricerca di soluzioni pacifiche, e l’invito a pregare per la Catalogna «che vive un momento delicato della sua storia».

Per questo, anche, i vescovi spagnoli hanno diffuso a loro volta una nota dedicata alla crisi che sta vivendo il Paese in cui si affermava una comune sensibilità «con i vescovi catalani, autentici rappresentanti delle loro diocesi» e si condivideva l’invito al dialogo e al negoziato pacifico. Seguiva un’affermazione che poteva essere letta come un monito per entrambe le parti, il governo centrale e quello della Catalogna, con una leggera accentuazione nei confronti delle responsabilità del leader catalano Puidgemont. Per la ricerca di soluzioni improntate al bene comune, affermavano infatti i vescovi spagnoli, «è necessario che tanto le autorità delle amministrazioni pubbliche, come i partiti politici e altre organizzazioni, così come i cittadini, evitino decisioni e atti irreversibili e con gravi conseguenze, che li collochino al margine della vita democratica».

IL RICATTO DI RAJOY. Prudenza e dialogo, dunque, per evitare un conflitto dalle conseguenze imprevedibili. D’altro canto la linea seguita dai vescovi spagnoli, vale a dire evitare di identificarsi automaticamente con Madrid o ancora più precisamente con il Partido Popular del premier Mariano Rajoy, non è piaciuta al governo che ha lanciato una sfida durissima agli indipendentisti. In ambienti governativi si fa capire che di fronte a una posizione giudicata pilatesca dei vescovi, potrebbero essere rivisti gli accordi fra Stato e Chiesa, l’equivalente del nostro Concordato. Una minaccia di questo tipo in genere solitamente è targata partito socialista, ora le parti si sono invertite. Al di là delle schermaglie, non è un caso che il premier Rajoy nella serata del 3 ottobre abbia incontrato gli arcivescovi di Madrid e Barcellona, Carlos Osoro e Juan José Omella, entrambi cardinali nominati dal Pontefice e considerati uomini di sua fiducia e possibile interlocutori super partes in questa fase delicata della crisi. Nel frattempo Papa Francesco all’indomani del referendum, aveva ricevuto il nuovo ambasciatore spagnolo presso la Santa Sede, Gerardo Ángel Bugallo Ottone, che gli presentava le proprie lettere credenziali.

LA FIGURA DI BLAZQUEZ. Va rilevato come la conferenza episcopale iberica sia guidata oggi dal cardinale Ricardo Blazquez, arcivescovo di Valladolid, in passato vescovo della diocesi di Bilbao, quando il problema indipendentista era principalmente quello basco. Blazquez, insomma, conosce il problema dell’autonomismo e fa parte di una corrente ecclesiale moderatamente aperta; la differenza è col recente passato, quando la Chiesa spagnola guidata dal conservatore cardinale Antonio Rouco Varela, era ancor strettamente legata al Partido Popular a sua volta ben collegato con l’Opus Dei. È poi un dato storico che, dai Paesi Baschi alla Catalogna, la Chiesa sia stata percorsa da forti spinte indipendentiste o autonomiste in contrapposizione con gerarchie non di rado centraliste (o a loro volta nazionaliste, ma nel nome della Spagna). Così nel clero e fra i credenti si riflettevano le divisioni del Paese.

La prudenza è dunque una strada obbligata per l’episcopato spagnolo, l’invito al dialogo ne è la conseguenza diretta ma anche una scelta che rompe con gli ›estremismi’ di una crisi apparentemente senza via d’uscita. Interessante, poi, tornare alle parole, anch’esse piuttosto attente e circostanziate, pronunciate dal Papa in un’intervista rilasciata la quotidiano catalano La Vanguardia nel 2014 in merito all’indipendentismo. «Tutte le divisioni mi preoccupano», dichiarò Francesco, aggiungendo: «C’è indipendenza per emancipazione e c’è indipendenza per secessione. Le indipendenze per emancipazione, per esempio, sono quelle americane, che si sono emancipare dagli Stati europei. Le indipendenze dei popoli per secessioni sono uno smembramento a volte molto ovvio. Pensiamo all’ex Jugoslavia».

C’È SECESSIONE E SECESSIONE. «Il caso iugoslavo è molto chiaro», proseguì il Pontefice, «però io mi domando se è così chiaro in altri casi, per altri popoli che fino a ora sono stati uniti. Bisogna studiare caso per caso. La Scozia, la Padania, la Catalogna. Ci saranno casi in cui saranno giuste, altri in cui non lo saranno». Tuttavia, e questo era un passaggio assai rilevante, «la secessione da una nazione senza che ci sia stato un antecedente di unione forzata bisogna prenderla con le pinze e analizzare caso per caso». Quest’ultima affermazione di Francesco sembra cogliere un punto chiave della contesa in atto. Il governo di Madrid, infatti, sostiene che non vi è nessuna limitazione della libertà e che a essere violata dallo strappo prodotto dal governo catalano è la Costituzione, non a caso si è parlato a proposito del referendum di colpo di Stato. Si tratta quindi di un caso da «analizzare».

LA CHIESA CONTRO XENOFOBIA E RAZZISMO. Certo, il nazionalismo non è materia semplice da gestire per una Chiesa che, in particolare nel magistero di Bergoglio, ha in mente la famiglia umana nel suo insieme, i grandi problemi transnazionali come la salvaguardia dell’ambiente, le migrazioni, il divario fra poveri e ricchi e fra Nord e Sud del mondo. Fra l’altro, sempre nei giorni scorsi, il cardinale Reinhard Marx, capo dei vescovi tedeschi e fra i più stretti consiglieri di Papa Francesco – alla guida fra l’altro del Consiglio per l›Economia in Vaticano – aprendo i lavori della conferenza episcopale della Germania, in un diverso contesto politico, ha detto chiaramente che il nazionalismo è in contrasto col Vangelo così come ogni forma di xenofobia e di odio per lo straniero, per questo anche il populismo avanzante in Europa è considerato un fenomeno negativo.

Francesco Peloso – Lettera43

Chiesa cattolica svizzera

https://www.catt.ch/newsi/catalogna-nazionalismi-la-mediazione-della-chiesa/