Misfatti impuniti

Sono le sette di mattina. Seduta in treno, mentre mi sto recando ad una riunione oltre Gottardo, leggo uno dei resoconti di viaggio che con regolarità i responsabili di programma di Sacrificio Quaresimale redigono al loro rientro, per informare sui progetti in corso nei vari paesi in cui operiamo.

Pagina dopo pagina quello davanti ai miei occhi sembra sempre più un bollettino di guerra con morti, feriti e devastazione ovunque. Cambiano i nomi delle località, ma la sostanza e soprattutto i protagonisti sono sempre gli stessi: le imprese estrattive che operano in diverse regioni della Repubblica Democratica del Congo (RDC).

Scopro così che lo scorso aprile a Kaindu (nel sud del paese) si sono verificate delle fughe di acido dagli stabilimenti dell’impresa MUTANDA MINING, una delle due filiali di Glencore in RDC. L’acido ha raggiunto i campi e un corso d’acqua, affluente del lago Kando, causando la morte di piante e animali. Una donna ha riportato gravi ustioni in varie parti del corpo, dopo aver lavato i panni nel corso d’acqua, e il suo bimbo soffre a causa dello stesso problema. All’ospedale, il medico che ha visitato la giovane madre ha subito capito che si trattava di ustioni causate da acido, ma è stato minacciato dall’impresa di querela se avesse confermato ufficialmente la sua diagnosi. Le vittime finora accertate sarebbero al momento 33.

A Luilu, abitato accanto alle miniere di KCC e di SICOMINES, gli abitanti non hanno più acqua. Le promesse di installare delle pompe non sono state mantenute. Anche qui inoltre vi sono state fughe di acido dagli stabilimenti minerari, che sono finite in un torrente lì vicino, distruggendo le coltivazioni e rendendo inutilizzabile l’acqua. Stesso scenario a Kapata, dove a fine 2015 un camion di un’impresa estrattiva aveva distrutto una diga, causando un’inondazione nei campi coltivati. L’acqua inquinata ha distrutto l’intero raccolto e reso inutilizzabile il terreno. Gli abitanti, perlopiù donne con figli a carico, hanno perso la loro unica fonte di sussistenza e ora, grazie al sostegno delle nostre organizzazioni partner in RDC, stanno cercando di far valere i loro diritti.

Ogni riga racchiude così tanta sofferenza e ingiustizia che è un pugno nello stomaco. Arrivo a Lucerna e il senso di frustrazione e impotenza mi assale. Lì incontro il nostro coordinatore in RDC, Blanchard, giunto in Svizzera per la riunione che si tiene ogni due anni. A lui non riesco a nascondere i miei sentimenti. Ed è proprio da lui che rinasce la speranza. Mi racconta che le persone nel suo paese soffrono a causa delle conseguenze ambientali e sociali delle attività di estrazione mineraria, ma non si arrendono e si impegnano per i loro diritti, sapendo che anche dall’altra parte del mondo ci sono persone che hanno a cuore il bene degli altri e che li stanno aiutando.

Chiesa cattolica svizzera

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