I vescovi canadesi e la visione unificata dell’amore

Lo definiscono «una riflessione sulle fondamenta di una teologia dell’amore umano» il nuovo documento pubblicato dai vescovi del Canada in occasione della loro assemblea plenaria di fine settembre con un titolo che suscita immediatamente curiosità: «Discovering the Unity of Life and Love» («Scoprire l’unità della vita e dell’amore)».

 

Un testo snello di 17 pagine con la precisa intenzione di proporre «una visione unificata della vita e dell’amore». «Come pastori della Chiesa in Canada, è nostro desiderio ricordare i motivi profondi e umani della visione cristiana riguardo all’amore umano e alla vita. Vogliamo riscoprire la famiglia come luogo dove le verità essenziali sulla vita umana e sull’amore possano essere conosciute e accolte: la famiglia intesa come il luogo dove la nostra umanità può prosperare e servire il bene comune, la famiglia come comunità dove le ferite e le fragilità umane possono essere abbracciate con misericordia».

 

Il discorso sulla visione unificata si spiega fin dalle prime battute perché i pastori canadesi presentano la loro riflessione essenzialmente alla luce di due testi del magistero di papa Francesco: non solo l’esortazione apostolica «Amoris laetitia» (12 citazioni), ma anche l’enciclica sociale «Laudato si’» (otto citazioni), ma sono presenti anche l’«Evangelii Gaudium» e la «Lumen Fidei» con due citazioni ciascuna. Il contesto non si limita dunque a una ricezione del Documento postsinodale alla stregua di altre conferenze episcopali, ma si allarga ad altre problematiche locali che toccano i temi bioetici alla luce delle recenti modifiche del codice penale canadese che consentono l’interruzione delle cure in caso di malattia terminale fino all’ampio arco dell’ecologia integrale proposta da Bergoglio.

 

Ma il testo contiene citazioni anche da Benedetto XVI, Giovanni Paolo II, il poeta Charles Péguy e don Luigi Giussani.

 

Breve la premessa mutuata da un’espressione pronunciata lo scorso anno a Ottawa dal cardinale Thomas Collins riguardo al rischio della soggettività caratteristica della cultura contemporanea, «la falsa idea che la realtà sia quello che penso io». Non corrisponde al vero, diceva l’Arcivescovo di Toronto, perché «esiste un mondo oggettivo di realtà intorno a noi, non creato e modellato secondo i nostri desideri, ma che dobbiamo scoprire e valorizzare dall’interno». Ecco allora l’invito a rendere ragione della nostra speranza cristiana e, guardando la realtà con gli occhi della fede, andare alla ricerca di punti di riferimento stabili in un mondo ormai fluido.

 

E la stabilità i vescovi del Canada la indicano in senso bergogliano: la riconoscenza per la bellezza e il dono della nostra vita, di chi ci ama e di tutta la creazione, la profondità delle relazioni umane e, nei momenti di dolore e fragilità, per lo sguardo misericordioso di Dio che, ribadiscono, «non è mai uno sguardo di condanna».

 

Come pure tengono a precisare che lo sguardo della Chiesa riguardo alla sessualità e al matrimonio non sia un ideale impossibile da raggiungere che non ha più posto nella vita di oggi, bensì qualcosa da proporre con le motivazioni profonde che sono sottese. Motivazioni che, in fin dei conti rimandano al senso cristiano della vita, a meno che non si decida di optare per l’ipotesi che l’esistenza umana sia condannata all’insignificanza.

 

Accettata la prima ipotesi, nonostante gli spot pubblicitari o le possibilità dell’attuale tecnologia all’inizio del XXI secolo siamo consapevoli che le cose più preziose della vita non si costruiscono. Sappiamo anche che le nostre vite non sono casuali e siamo nati, senza chiederlo, all’interno di una precisa famiglia con abitudini, doti e limiti unici. Ma è tutta la creazione, illuminata dall’amore del Padre, ad avere un suo significato e a ricordarci quotidianamente della chiamata all’amore universale e alla comunione. Ecco perché la Chiesa guarda al desiderio di amare inscritto nel cuore di uomini e donne come qualcosa che è per sua natura «cosa molto buona» (Genesi 1,31) e l’unico fine della sua azione pastorale e dell’insegnamento morale è quello di aiutare a scoprirlo alla luce dello sguardo di Dio amore, sempre misericordioso.

 

È con questo sguardo la Chiesa dichiara di rivolgersi ai coniugi, ai figli e ai genitori, agli amici di cui Dio ci ha fatto dono. Se la cultura contemporanea esalta l’autonomia e la libertà dell’individuo, i vescovi guardano al servizio reciproco all’interno della famiglia, la cura dei piccoli e degli anziani, al dono gratuito di ciascuno nei confronti dell’altro, l’unico modo in cui la nostra libertà si esplica nella sua pienezza.

 

Siamo creati per la comunione tra uomini e donne (comunione fisica, spirituale ed emotiva): «L’attrazione per l’altro è un anelito verso la pienezza della vita, una delle sue forze più profonde» sebbene alcune teorie che entrano velatamente anche nei percorsi scolastici, ritengano che la differenza sia frutto di una scelta sociale: anche in questo caso occorre andare al cuore delle motivazioni che portano a questa cultura e assumere in positivo le intenzioni sottese che sollecitano al rispetto e alla costruzione di relazioni più armoniche tra i sessi.

 

L’invito esplicito è a guardare con stupore tutta la creazione e in particolare a quello che la Chiesa definisce il «mistero nuziale»: l’unione sessuale di due corpi che porta alla generazione di una nuova vita, un mistero, frutto d’amore, che oggi, in tempo di tecnologie riproduttive, rischiamo di sorvolare con indifferenza.

 

Il testo si sofferma sulla fase giovanile dell’innamoramento e sul profondo bisogno d’amore inscritto da Dio nel cuore umano nella consapevolezza dell’attuale cultura delle emozioni e del benessere personale: in sé un bene, a patto che non diventi un idolo che escluda l’altro. E quindi sull’amore maturo, che diventa profondo perché capace di amare l’altro come se stesso, anche se non sempre corrisponde ai propri desideri. «Non si giunge all’amore autentico in una sola notte. Non è questa la caratteristica dell’amore umano! Il fatto che l’amore ha bisogno di crescere e maturare è qualcosa di cui non teniamo conto abbastanza».

È qui che i vescovi si soffermano per giungere al punto che sta loro a cuore: la discrepanza tra un desiderio di amore e la nostra reale capacità di amare frutto della fragilità umana, tanto che «abbiamo tutti bisogno dell’aiuto di Dio e della sua grazia salvifica» e «nella vita sacramentale della Chiesa ci viene offerta una vera pedagogia dell’amore». In quest’ottica va letta tutta la morale cristiana: «Non una serie di regole o limiti imposti, bensì un rapporto graduale, sempre più stretto con la persona di Cristo».

 

Senza entrare in ulteriori dettagli pastorali, un richiamo finale: «Solo all’interno di questa visione unificata della persona umana, dell’unità fra amore e matrimonio, fra sesso e fecondità, fra genere e corpo, diventa comprensibile l’insegnamento della Chiesa riguardo alla contraccezione o al divorzio, ma anche il suo sguardo misericordioso sull’esperienza umana».

 

Sul testo dell’Esortazione postsinodale era intervenuto all’assemblea plenaria il cardinale canadese Marc Ouellet, prefetto della Congregazione dei Vescovi: «Ogni interpretazione «allarmistica» intesa come rottura con la tradizione perché troppo permissiva riguardo alla possibilità di accedere all’eucaristia da parte dei divorziati risposati non è fedele allo scritto di «Amoris laetitia» e alle intenzioni di papa Francesco perché «Amoris laetitia» invita a un approccio pastorale che tiene conto del bene della persona umana in quella situazione e rappresenta una chiamata a una conversione pastorale, all’insegna di accoglienza, ascolto, dialogo e misericordia».

Maria Teresa Pontara Pederiva

Chiesa cattolica svizzera

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