Pioniera ci hai costruito nelle amicizie

L’aspettavamo con ansia questa donna, Ursula Brunner, che aveva lanciato il movimento delle «BananenFrauen» le donne delle banane. Veniva da Frauenfeld, cittadina che indicava il campo delle donne. Come giovani donne ci incuriosiva. Sapevamo che aveva cominciato a fare il giro della Svizzera con altre sue amiche per sensibilizzare a favore di condizioni migliori di vita dei lavoratori e lavoratrici nelle piantagioni di banane. Eravamo studenti all’UNI e tutte le novità per maggior giustizia sociale ci interpellavano. C’erano al mercato della città le prime bancarelle del commercio equo che proponevano un commercio più dignitoso. A noi piacevano le borse di juta per contestare sui banchi di studio le cartelle di certi compagni e indossavamo i primi maglioni peruviani di lana di alpaca per scaldarci negli scantinati dove nascevano le prime botteghe. Ed è li che incontrammo Ursula e le sue amiche in questi luoghi che sono diventati non solo depositi ma luoghi di incontro, dove discutevamo fino a notte profonda nel freddo e nell’umidità, cosa significava commerciare con dignità.

Il passaggio di Ursula, moglie di un pastore, ci donò coraggio e forza di riflessione. Queste donne di Frauenfeld durante un viaggio avevano scoperto in quei paesi esportatori di banane uomini e donne che le avevano interpellate. Ora denunciavano con semplicità le profonde ingiustizie di condizioni di lavoro e di pagamento (come mai una banana trasportata via mare costava meno della nostra mela?), di un deterioramento dell’ambiente (monocultura al posto degli ortaggi locali) e quel giorno, che ricordo come ieri, lei ci fece ben presto capire che bisognava impegnarci anche oltre. Era la presa di coscienza della denuncia politica. Tra i cartoni di banane che arrivavano e che si trasportavano al mercato si cercava un nuovo modello di sviluppo e si ponevano le basi per delle nuove riflessioni sull’aiuto e il commercio. Ci eravamo rese conto che erano due facce della stessa medaglia e che l’uno non poteva esistere senza l’altro. Il commercio non può supplire a quanto si può fare con l’aiuto allo sviluppo; ma l’aiuto, senza delle relazioni e delle strutture commerciali più eque non porta ad una migliore ripartizione delle ricchezze a livello mondiale.

Comunque la sua venuta fu un occasione di adesione ad un nuovo stile di vita. La nostra effervescenza giovanile non capiva bene come mai noi, il «Nord», che ha riconosciuto la dignità della persona come valore fondamentale non potesse cessare di danneggiare e di creare maggiore povertà, cambiando il suo modello di consumo. Queste prime «Botteghe del Mondo» sono diventati luoghi di amicizia, di riconoscenza dell’altro. Ci si interrogava su questo «Sud» al quale ci si sentiva sempre più legate. Descritto dai volontari/cooperanti di ritorno dai loro progetti questo «Sud» si trasformava, si animava in noi, sentendoci sempre più unite a persone e comunità di cui cercavamo di vendere i loro prodotti e di raccontare la loro storia. Questi contadini e artigiani li portavamo nel cuore e riuscivamo a convincere le persone che venivano al mercato ad aderire ai principi di un salario equo e di una vita più dignitosa. Ursula era passata, ma si incontravano sempre più donne di varie generazioni che si impegnavano. Quanti bei incontri! Tazze di tè condivise! Quante amicizie nate in quel tempo e vissute con affetto ancora oggi dopo quasi 40 anni! Quella ricerca di dignità ci lega ancora e noi tutte la portiamo avanti. Grazie Ursula!

La reazione di un lettore:

S’iniziò a parlare di banane e forse anche per il loro colore giallo intenso che ricorda la luce, il sole e il loro bianco all’interno che ricorda la luna ci siamo subito resi conto che parlavamo di ideali, di mete da raggiungere per dare spazio al nostro cuore di crescere.

Parlavamo di noi, della nostra crescita, dell’entusiasmo che ci legava e stavamo bene. La cantina non era più una cantina ma un nido nel quale si covavano ideali che in qualche decennio avrebbero cambiato il mondo. L’indifferenza, il «io non sapevo» che non avevamo fatto vedere al mondo la strage degli ebrei, l’olocausto, erano stati cancellati e sostituiti dalle «io so» perché tante Ursule avevano lanciato la loro denuncia e la loro speranza. La gente scendeva in cantina per crescere o si rifugiava nei grattacieli per non vedere per non sentire.

Un vecchio algerino che dormiva sulla spiaggia di Tipasa Matares (NdT: Algeria) custodendo i suoi 4 cammelli, sorseggiando un tè alla menta dolcissimo e caldo mi diceva: «Quando i grattacieli saranno trasformati in sabbia, allora ci troveremo tutti qui nel deserto per capire che vivere la vita non è come lasciarcela passare accanto.»

Era il 1978 forse gli anni in cui Ursula seminava ideali nelle cantine fra giovani un po’ trasandati, un po’ sognatori ma con in tasca tanti ideali e tanta voglia di cambiare il mondo.

Quando mangio una banana del commercio equo mi resta in bocca un retrogusto di nostalgia e di speranza.

Lugano, 21 luglio 2017 – Donato a L. S. come ricordo di quei anni

Chiesa cattolica svizzera

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