Esce il carteggio inedito fra Turoldo e Capovilla – Nel segno di Roncalli

2017-05-23 L’Osservatore Romano
È stato un legame di fede e di affetto, nutrito di rispetto e simpatia, quello tra David Maria Turoldo e Loris Francesco Capovilla, nel segno di Papa Roncalli. Lo testimonia il libro, in uscita il 26 maggio, a cura di Marco Roncalli e Antonio Donadio, David Maria Turoldo, Loris Francesco Capovilla. Nel solco di papa Giovanni. Lettere inedite (Milano, Servitium, 2017, pagine 189, euro 13) che attraverso un carteggio finora sconosciuto — costituito da 56 lettere, in larga parte autografe (19 di Turoldo a Capovilla, 37 di Capovilla a Turoldo) risalenti agli anni tra il 1963 e il 1991 — offre un quadro illuminante delle vicende della Chiesa e della società dagli anni del concilio Vaticano II.

È Giovanni XXIII, sottolineano i curatori, «il silente terzo protagonista» di questo intenso scambio epistolare: ma è un silenzio che non evapora in una presenza muta e marginale. Al contrario, s’impone l’eloquenza evangelica del «Papa buono» che finisce per pervadere, in filigrana, le lettere di Capovilla (1915-2016) e Turoldo (1916-1992). «Ci è parso bello, dopo aver riletto più volte quel che è stato possibile sino a oggi recuperare della loro corrispondenza, custodita tra le carte regestate nell’archivio di Fontanella, farne partecipi altri lettori» scrivono Roncalli e Donadio.
È vero che in queste lettere non c’è traccia di gran parte della vita di padre David e di don Loris: tuttavia i brevi testi epistolari contenuti nel libro — che in appendice presenta testi del cardinale Gianfranco Ravasi e dell’arcivescovo Bruno Forte — possiedono un alto valore di testimonianza perché «possono ancora dirci qualcosa in più di questi due uomini che tanto hanno parlato e scritto». E nei rimandi che costellano le lettere, è dato di cogliere e apprezzare le ragioni di un’azione pastorale che attraverso l’immersione nel sociale e la cultura umanistica e teologica aspira a radicare il messaggio evangelico. Ed è in questa duplice dimensione che si colloca la fruttuosa intesa fra Turoldo e Capovilla, perché entrambi sensibili e attenti a due valori imprescindibili: fede e poesia, intesa quest’ultima come strumento di cultura. «Aveva ragione Mario Luzi, amico di padre David, ad affermare che fede e poesia sono due (ammesso lo siano) termini o polarità di cui è impossibile parlare distintamente. Chi li ha chiari e certi e li vive in consapevolezza, non importa se armoniosa o disarmonica, dentro di sé non può tenerli separati, non ci riesce, non gli è dato» evidenziano i curatori.
Come rivela già la prima lettera del carteggio, l’incontro fra Turoldo e Capovilla, allora segretario particolare di Giovanni XXIII, avvenne in una chiesa romana, situata nel territorio di una parrocchia affidata ai Servi di Maria, quella di San Claudio, il giorno dopo il pellegrinaggio del Pontefice a Loreto e ad Assisi, il 4 ottobre 1962, alla vigilia dell’inizio dei lavori del concilio. Una data sicuramente emblematica anche per l’avvio del rapporto tra i due, sbocciato nel segno inequivocabile di Papa Giovanni e del concilio. Basti pensare che l’adesione di padre David, «l’innamorato di Dio», alla persona e al programma del pontificato giovanneo l’avrebbe poi spinto — sin dal giorno della morte di Roncalli — alla scelta di andare a vivere nel suo paese natale, Sotto il Monte, «per camminare sulle stesse sue strade e guardare da questi spazi il mondo».
Tra le frasi significative che danno spessore al carteggio, impreziosendolo, spicca quella contenuta nella missiva che, il 13 agosto 1964, Turoldo inviò a Capovilla, quando, morto Giovanni XXIII, al soglio pontificio ascese Paolo VI. «Povero Papa!» esclama Turoldo, che scrive: «Ho proprio paura che parli a un mondo, quel mondo, volontariamente sordo, e ambiguo, e untuoso, e chiesastico, il quale è invece pagano, essenzialmente pagano». In queste espressioni c’è tutto Turoldo, il robusto respiro di una tensione etica e religiosa volta a dare risposte convincenti, a beneficio della Chiesa e della società civile, alle domande di libertà, di onestà e di giustizia.Non meno significativa, e assai toccante, è la lettera che Capovilla scrisse a Turoldo, da Chieti, il 27 ottobre 1969: «Mio caro Fratello, le voglio bene… La prego di programmare una passeggiata sin qua. Allora avremo modo di parlare a ruota libera». E nel constatare che le delusioni non mancano mai, Capovilla sottolinea che «i contatti veri sono difficili». Quindi è bene coltivarli e tutelarli. E infine dichiara: «Salvare la propria libertà è una tragedia continua».

Una delle peculiarità del carteggio è data dal fatto che i due uomini erano chiaramente diversi e provenivano da ambienti e formazioni dissimili: eppure, nonostante questo, a prevalere è un’affinità elettiva continuamente alimentata dall’aver capito entrambi la svolta determinata dal concilio Vaticano II e dall’aver sempre riservato la massima attenzione a cercare di capire, possibilmente in anticipo, i «segni dei tempi», secondo l’indicazione di Giovanni XXIII, sotto la cui egida si venne costruendo un rapporto intellettuale in cui felicemente convergono fede e cultura, tensione etica e sensibilità umana.

Chiesa cattolica svizzera

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