Somalia. Mons. Bertin: speranze dal nuovo governo

Non si fermano in Somalia gli attacchi degli estremisti islamici al Shabaab, con l’obiettivo di creare nell’area uno Stato islamico. Ieri 11 persone sono morte in un attentato contro i militari somali nel Sud del Paese. L’altro ieri, almeno cinque persone hanno perso la vita per l’esplosione di un’autobomba nel parcheggio di una caffetteria italiana, nel centro di Mogadiscio. E tre giorni fa, sempre gli islamisti hanno ucciso un soldato americano della missione di assistenza militare nel Corno d’Africa. Gli Shabaab continuano, dunque, a rendere dura la vita della popolazione somala. Ascoltiamo in proposito mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio, al microfono di Jean-Charles Putzolu:

R. – Purtroppo è vero, però non bisogna generalizzare né minimizzare la presenza degli Shabaab. Non bisogna generalizzare perché altre parti della Somalia – il Nord-Est, il Nord-Ovest, il Somaliland – sono più sicure, non hanno questa presenza degli Shabaab; non minimizzare vuol dire pensare di aver risolto il problema. É vero che qualche anno fa avevano fatto uscire gli Shabaab, ma li avevano fatti uscire come se fossero un esercito. Di fatto poi alcuni di loro sono rimasti togliendo la divisa dell’esercito e mettendo una divisa, un vestito civile; altri sono tornati. C’è da pensare che magari altri con interessi personali utilizzano il nome «Shabaab» per compiere delle azioni a carattere piuttosto privato. Ma in realtà, è vero, continuano a fare, a creare problemi. A questo si può rispondere con maggiore fermezza da parte del nuovo governo che ha presentato anche delle aperture. Bisogna accompagnare, come si dice, la carota con il bastone.

D. – Proprio il presidente aveva aperto una porta e proponendo l’amnistia. Ma le autorità somale hanno veramente la possibilità di potere agire da sole contro gli islamisti?

R. – No, non hanno la possibilità, non hanno i mezzi e non hanno neanche la fiducia popolare, perché è importante avere i mezzi, avere il sostegno della comunità internazionale ed avere il sostegno della popolazione locale. Questo se lo devono guadagnare evitando la corruzione e lavorando un po’ di più per dare dei servizi alla popolazione, in questo momento colpita dalla siccità.

D. – A proposito di conferenza internazionale, ce ne sarà un’altra domani, giovedì 11 maggio, a Londra. In precedenza abbiamo visto che i risultati  erano scarsi. C’è da spettarsi qualcosa di più?

R. – Facevo il conto delle conferenze internazionali per la Somalia: mi sono fermato alla 18.ma perché mi ero un po’ stancato di tenere il conto. Devo dire che questa nuova conferenza potrebbe avere probabilità di avere più successo, perché siamo all’inizio del mandato del nuovo presidente, Mohamed Abdullahi Farmajo, un uomo che sembra stimato dalla popolazione, che sembra una persona seria che ha messo come priorità la lotta contro la corruzione. Probabilmente questa conferenza potrebbe riuscire nel senso di accompagnare i primi passi di questo nuovo governo. Allora preferirei ancora portare la mia attenzione sulla speranza, pur conoscendo i risultati delle conferenze precedenti.

D. – Ma queste conferenze internazionali, concretamente, che cosa possono dare? Soldi …

R. – Concretamente possono dare anche soldi, perché so che a questa conferenza parteciperanno anche in un modo più numeroso i somali che vivono all’estero. Dunque, potrebbe avere questo lato positivo, ovvero un coinvolgimento maggiore dei somali che potrebbero fornire un aiuto, soprattutto in questo momento drammatico di carestia, per far arrivare quei bisogni, quei soldi, quei viveri di cui si ha bisogno per evitare la morte di tante persone.

(Radio Vaticana)

Chiesa cattolica svizzera

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