Libia: medici senza frontiere racconta scenari del traffico di esseri umani

«Il 40 per cento delle persone salvate dai barconi spiegano che sono state costrette a salirvi». È quanto racconta Arjan Hehenkamp, direttore generale dell’organizzazione umanitaria di Medici senza frontiere (Msf), dopo mesi di progetti portati avanti in Libia e le visite ai centri di detenzione a Tripoli, veri e propri «magazzini umani», che ospitano «abusi e torture».

Tra le persone imprigionate ci sono «migranti, ma anche persone che vivono in Libia da decenni, prese per strada», ha riferito Hehenkamp, spiegando che «danno loro la caccia perché valgono denaro, rappresentano merce di scambio». Le persone sono «rinchiuse tutte insieme in stanze che potrebbero contenerne un quinto». E i detenuti, decine di migliaia in tutto il paese secondo i dati riportati, «sono alla mercè dei miliziani» e subiscono «violenze e abusi». L’unico modo per scappare è pagare le milizie. «Nel momento in cui hanno soldi, i detenuti vengono spinti a prendere il barcone e partire anche se non vogliono».

Quello che denuncia Msf è un vero e proprio business, un sistema organizzato in cui «sono le gang che decidono della vita di queste persone». I centri nei quali opera Msf da mesi per portare assistenza sanitaria sono formalmente controllati dal dipartimento per il controllo della migrazione illegale sotto il governo di Tripoli, riconosciuto dalle Nazioni Unite, ma il punto è che, secondo la testimonianza di Msf, troppo spesso vari gruppi di miliziani impongono la loro autorità.

Per quanto riguarda il lavoro sul Mediterraneo, fino a oggi «la guardia costiera libica non ha avuto il controllo totale delle barche e del personale, perché molti hanno paura di bloccare i trafficanti per le ripercussioni sulle loro famiglie», racconta Hehenkamp. In base all’accordo dell’Italia con Tripoli, le autorità locali stanno ricevendo l’aiuto necessario, affinché assumano il pieno controllo della situazione.

(Osservatore Romano)

Chiesa cattolica svizzera

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