Consigli evangelici

di Manuela Masone

Se ti dico «consigli evangelici» a che pensi? Obbedienza, povertà, castità? Suore o frati? E se ti dicessi che la risposta esatta è Battesimo, vita cristiana?
Mentre raccontavo ad alcuni giovani la mia testimonianza di vita consacrata, ho detto loro che in fondo tra la mia vita cristiana e la loro non c’era differenza perché tutti siamo chiamati, come battezzati, a vivere i consigli evangelici. Nella formazione dei cristiani si parla delle virtù teologali di fede, speranza e carità, dei dieci comandamenti e dei sette sacramenti ma sembra che i consigli evangelici non facciano tendenza… salvo appunto se si sta parlando di vita consacrata.
Dal Concilio Vaticano II in poi, nella Chiesa è diventato normale parlare di santità per tutti i battezzati. Questa non è più da intendere come un percorso destinato a poche persone eccezionali che poi vengono rappresentate e messe in una nicchia, ma si tratta della modalità di vita ordinaria a cui deve tendere il cristiano, fatta di fede, speranza e amore. Se cerchiamo di vivere così, a che servono quindi povertà, obbedienza e castità?
La povertà si contrappone solitamente alla ricchezza, al possesso. Non va confusa con la miseria, che è la mancanza del necessario per vivere e lede alla dignità dell’uomo. La povertà evangelica è un modo di porsi di fronte alle cose che rende liberi. L’avidità, il desiderio di possedere sempre di più è qualcosa che presto o tardi finisce per possederci. Alcuni malesseri della nostra società come dipendenza dal gioco, shopping compulsivo, consumismo, obesità, o in ambito lavorativo i tagli al personale per realizzare maggiori utili, i burnout causati dagli eccessivi carichi di lavoro, lo sfruttamento delle risorse o le crisi finanziarie prodotte da chi specula e così via, provengono da ciò. Per arrivare ai propri scopi spesso si è disposti a sacrificare l’altro, considerato come un ostacolo sulla nostra traiettoria, mentre la povertà evangelica implica il giusto rapporto con le cose e con il creato, il saper condividere non solo il proprio denaro ma anche il proprio tempo, il rispetto e l’attenzione per la persona umana qualsiasi sia il proprio livello di responsabilità nella società. Le Beatitudini sono il testo biblico per eccellenza legato a questo consiglio. Povertà è anche fiducia nella Provvidenza e cioè in Dio che veglia sulla nostra esistenza e si occupa di noi come dei gigli nei campi.
L’obbedienza invece viene vista come sottomissione e mancanza di libertà. Per quale ragione qualcuno dovrebbe volontariamente privarsi della propria libertà? Nella vita di tutti i giorni esistono regole scritte o meno che permettono la convivenza. In questo senso sembrerebbe che non esista una libertà assoluta di fare «tutto quello che voglio, quando lo voglio». Chi vive trasgredendo tutte le regole viene considerato marginale e a volte è punito. Una certa obbedienza, finalizzata al bene comune è quindi riconosciuta in maniera generale come positiva. L’obbedienza evangelica non è innanzitutto l’adesione alle indicazioni in ambito morale della Chiesa ma ha a che vedere con la nostra relazione con Dio. Gesù quando offre la sua vita al Padre, si affida a Lui e contemporaneamente compie un atto di libertà, una scelta libera: «nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo» (Gv 10,18). Così facendo ci mostra come in una situazione di estrema costrizione è comunque possibile esercitare la propria libertà. L’obbedienza al Padre di Gesù è filiale e dettata dall’amore. Solo in una relazione d’amore filiale con il Padre da cui ci sappiamo amati è possibile vivere l’obbedienza intesa come adesione alla sua volontà sulla nostra vita. Obbedienza è rinunciare ad una visione egocentrica e superficiale della vita per metterci all’ascolto dello Spirito Santo che ci apre nuovi orizzonti.
Una problematica che troviamo anche all’interno della Chiesa è la sete di potere. Non si tratta più solo di mettere al centro me stesso, ma del desiderio di dominare l’altro. Il consiglio evangelico della castità non riguarda esclusivamente il fatto di non esercitare la propria sessualità. Quando in effetti si parla di castità nel matrimonio, non si intende che i coniugi non debbano avere rapporti sessuali o debbano farlo solo in vista del concepimento. La castità è un atteggiamento, una forma di amore per l’altro che tende a considerarlo in tutta la sua bellezza e dignità e a desiderare la sua realizzazione. Quando l’amore, l’amicizia sono privi di questo sguardo sull’altro, il rischio è quello di considerarlo come una nostra proprietà costringendolo in un relazione che gli sottrae libertà. Egoismo, invidia, gelosia così come i rapporti fusionali che annullano l’alterità, incrinano le relazioni e a volte inducono ad uno stato di dipendenza affettiva.
Si dice che nei primi secoli i pagani dicessero dei cristiani «Guardate come si amano». Gesù ha mostrato nelle sue relazioni umane che l’amore non condanna ma rialza e soprattutto rende liberi, oggi ancora abbiamo bisogno di farne l’esperienza.

Chiesa cattolica svizzera

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