L’illusorietà che un SMS sia sufficiente

No, un sms non basta. In questo periodo prenatalizio le televisioni sponsorizzano in maniera massiccia e, perdonate l’espressione, talvolta anche eccessivamente insistente tantissime campagne di solidarietà per la raccolta di fondi a favore di tante iniziative importanti e lodevoli. Dalla ricerca scientifica alla cura ai malati, dalla tutela dell’ambiente all’assistenza degli indigenti, dalla lotta alla fame nel mondo alla tutela dei diritti umani. Nulla di straordinario, è infatti ben noto a tutti che i periodi prenatalizi sono da sempre considerati dei momenti ideali e topici per fare appello alla generosità e al buon cuore delle famiglie e delle persone.
A Natale si è tutti più buoni, è un vecchio cliché mai tramontato nonostante il caotico trasformarsi della società. Tuttavia la tecnologia e questa grande scienza evolutiva che ha trasformato e continua a cambiare fortemente la vita quotidiana degli uomini, offre oggi nuovi modi anche alla solidarietà per raggiungere più in fretta e con più forza invasiva il maggior numero possibile di utenti. Ecco che così l’sms, il classico messaggino di testo dal telefonino, diventa uno strumento poderoso per raccogliere fondi in un batter di ciglio e poter contabilizzare in tempo reale quanto raccolto con l’uso di immensi e luminosi display. Non bisogna fare nulla di stancante per contribuire a far crescere le cifre di quei display. Non serve più compilare un bonifico o un bollettino postale, non serve andare nella sede di qualche associazione benefica o in parrocchia e fare la donazione «brevi manu», non è più necessario scrivere lettere o aspettare un appuntamento per parlare con i responsabili della raccolta fondi. Niente più file, attese e riflessioni. Niente più perdite di tempo. Un clic e tutto è compiuto. In massimo 30 secondi si è risolta la questione. Il contabilizzatore sale, chi ha ideato la campagna è contento, chi avrà quei soldi può sperare e chi ha fatto l’offerta è felice di aver contribuito.
Ora si fa tutto subito. Basta prendere il telefonino, o meglio lo smartphone, entrare nella pagina dei messaggi di testo, digitare un numero di 5 cifre e inviare il messaggio. Non c’è bisogno di nient’altro, neanche di digitare un testo. Dopo pochi secondi dal tuo credito telefonico sarà scalato l’ammontare dell’offerta e un altro sms ti ringrazierà tanto dell’offerta fatta. Cosa vi è di più semplice ? Nulla. Si può fare comodamente da casa, seduti sulla poltrona, mentre si cena o si sta facendo qualche lavoretto. Se non si ha il tempo o voglia di mandare un sms di persona si può far fare anche ai figli che, forse, son più veloci con la tecnologia in auge. Non si deve uscire, incontrare gente, stringere mani, confrontarsi, parlare o riflettere. Tutto si sviluppa in pochissimi secondi. Basta che il messaggio veicolato dalle tv sia affascinante e coinvolgente e il gioco è fatto.
C’è qualcosa di male in questo ? No, tendenzialmente no. L’idea è ottima come ottima è la disponibilità della tecnologia per fare del bene a chi ne ha bisogno. L’uso degli sms come strumento per invogliare le persone e le famiglie a inviare il proprio contributo economico senza dover perdere tempo non è di per se una cosa negativa, anzi. Non si vuole di certo rasentare oscurantismo e demonizzare la tecnologia che ci circonda. Peraltro sarebbe una battaglia già persa in partenza. Ciò che si vuole evidenziare, invece, è il rischio di automatismo e, soprattutto, di assuefazione dell’animo a queste campagne così assillanti e martellanti che più dei mezzi si preoccupano solo del fine, ossia racimolare più soldi possibili. La tecnologia, come d’altronde la stessa globalizzazione, non è di per sé negativa o positiva a priori. È semplicemente neutra e il giudizio finale dipende esclusivamente dall’uso che se ne fa e dagli accorgimenti che si prendono nell’usarla. L’sms è senza dubbio uno strumento positivo, utile, immediato che può fare davvero la differenza. Ma, come tutte le cose, ha degli effetti collaterali molto pericolosi e, soprattutto, così latenti che spesso non riusciamo a intravedere se non in presenza di sintomi ormai già avanzati.
Credo che un esempio chiarirà il concetto. Domenica, mentre uscivo dalla Chiesa dopo aver ascoltato la messa, una bambina dai capelli biondi ha chiesto al padre una moneta per darla in dono ad un’altra fanciulla che con la madre chiedeva l’elemosina sul sagrato. Il padre, con fare spiccio, le ha risposto «Stella, abbiamo già mandato l’sms della tv ieri per chi non può mangiare». Detto questo ha stretto forte la mano della bambina dagli occhioni grandi e, facendo lo slalom gigante tra chi tendeva una mano fuori dal sagrato, ha raggiunto l’autovettura e via a casa. Mentre si allontanava trainata dalla mano poderosa del padre la bambina, che avrà avuto 5 o 6 anni al massimo, continuava a girarsi indietro per trovare lo sguardo della sua coetanea meno fortunata.
Questo è il rischio concreto, nella pratica, che l’utilizzo degli sms e della tecnologia possono produrre sull’animo umano quando la solidarietà e la carità vengono veicolati come mere necessità da assolvere con un semplice gesto manuale. Con gli sms viene subliminalmente veicolata l’idea che la carità sia necessaria solo a chi la riceve e non a chi la fa. Questo rischio non va sottaciuto. Anzi, dobbiamo con forza rimarcare come la solidarietà, il soccorso, l’aiuto e la carità non possono essere compressi a mera evasione di un comando o di una pratica momentanea che ci tiene occupati solo il minor tempo possibile. Gli sms, e con loro tutti quei sistemi tecnologici che rendono veloci le raccolte fondi, non devono costituire per noi tutti un alibi su cui basare poi la nostra indifferenza verso chi incontriamo nella vita di ogni giorno o per i quali soddisfare in modo definitivo il nostro bisogno di avere la coscienza a posto.
Con che idea sarà andata via quella bambina di 5 anni tenuta in mano dal padre ? Con l’idea che un sms di 2 o 5 euro sia sufficiente per un intero anno e che valga di più del contatto umano con chi ha bisogno? Con l’idea che non ha importanza fermarsi a cercare il sorriso altrui o cercare il sentimento di umanità e di vicinanza con chi chiede concretamente un aiuto ? Con l’idea che, per mettersi la coscienza a posto, basti solamente rispondere all’appello della tv e inviare dalla propria poltrona un sms per vedersi scalare il proprio credito e poter dire con orgoglio e, forse, con spocchia «io ho già dato» ? O peggio convincersi che fare solidarietà equivale a non sporcarsi le mani ma semplicemente delegarne il compito a chi è incaricato per missione, lavoro o obbligo ? Quella bambina come crescerà ? Anche lei, pian piano, comincerà a credere e a persuadersi che basta un semplice gesto di carità dall’interno delle propria mura domestiche per poter affermare ai quattro venti di essere stata generosa e buona ? Il rischio di questi effetti collaterali è molto pericoloso. Non lo è per la raccolta di fondi. Alla fine la gente il contributo lo manda sempre e, se il messaggio tv è ben confezionato, gli sms arrivano. Non per nulla ormai tutte le campagne di raccolta hanno deciso di scegliere il periodo prenatalizio iniziando a inviare messaggi televisivi già da metà novembre e di accaparrarsi i migliori sponsor sulla piazza tra i personaggi dello spettacoli, del cinema e della musica. Il rischio è solo per il singolo utente che viene come aggredito mediaticamente e di fronte all’impossibilità di poter contribuire a tutto si chiude a riccio e, dopo aver fatto una scelta inviando a suo giudizio insindacabile un sms a chi ritiene più meritevole, crede di essere a posto con sé stesso e di aver concluso il suo dovere di uomo, di cittadino e, soprattutto, di cristiano.
Ecco che iniziano a proliferare le frasi fatte. «Ho già contribuito», «Ho già fatto la mia offerta», «Il mio sms è già arrivato». Pian piano ci sia accorge di non poter dare una offerta a tutti e quindi si inizia ad autoassolversi. «Non posso mica mandare un sms a tutti, ho già fatto il mio dovere», «Che vogliono ancora, io ho già mandato l’sms ieri», «Ma insomma perché non danno loro i soldi, io ho già contributo». Tuttavia quello che spaventa di più è l’impersonalità che il «dare con l’sms» insinua nel bisogno di essere solidali e altruistici verso il prossimo che si incontra per strada. L’sms non ti fa toccare con mano il bisogno e la difficoltà altrui, l’sms non ti fa guardare negli occhi la persona che ti tende la mano, l’sms non ti obbliga a provare veri sentimenti e a cercare la riflessione. L’sms focalizza la tua attenzione sulla rilevanza dei tuoi «compassionevoli» 2 o 5 euro e non sulla importanza del tuo impegno, del tuo sporcarti le mani, del tuo semplice sorriso verso chi ha bisogno. L’sms punta solo sul tuo credito telefonico, giusto il momento per far scattare dentro di te la decisione di pigiare il tasto «invio», poi nulla. Tutto si conclude con quel gesto. Chi di noi, dopo aver mandato con un sms la sua offerta, va poi concretamente mese dopo mese a vedere se e come quei 2 o 5 euro vengono usati oppure, cosa più importante, come evolve la vita delle persone che hanno bisogno ? Pochissimi, forse nessuno.
Certo, è vero, ci si fida di chi gestirà i soldi e non si ha alcun dubbio che farà un ottimo lavoro. Ma il punto non è questo. Il punto non è solo fidarsi o meno di chi raccoglie i fondi con l’uso degli sms. Ciò che veramente conta è la diminuzione sistematica del nostro bisogno di toccare con mano la realtà del mondo, di scendere per strada e partecipare del dolore, delle sofferenze e del bisogno di aiuto dei nostri fratelli. Insomma, detto in altri termini, non si può delegare la solidarietà agli altri senza scendere in campo da protagonisti ed essere noi stessi parte in causa. Non possiamo credere di liberarci del nostro dovere di uomini e cristiani solo perché mandiamo un sms mentre beviamo una bibita o mangiamo una pizza seduti sul divano di casa. La solidarietà, la carità, soprattutto per chi è cristiano, abbisogna di incontro, di dialogo, di partecipazione.
Dobbiamo ricordarci sempre le parole che Papa Francesco ci ha detto più di una volta. Quando si vuole aiutare un altro fratello in difficoltà non basta allungargli il soldo senza guadarlo in faccia o, peggio, con la paura e il terrore di sfiorarlo. Bisogna dialogare con lui, incontralo nel vero senso del termine, guardare i suoi occhi, toccare la sua mano, scorgere il suo sorriso o le sue lacrime. La solidarietà fatta dal divano di casa, nonostante possa comunque essere utile, è pericolosa se non è seguita dalla consapevolezza che dare a chi ha bisogno non deve essere poi un alibi per scartare o una vanteria per autoassolversi. Si può certamente mandare una offerta con un sms, anzi si deve. Però non ci si può dimenticare che la solidarietà di un buon cristiano è un’altra cosa e va oltre quella dazione automatica che, per di più, viene poi materialmente fatta dal gestore del tuo credito prepagato per tuo mandato. Non si può fare i buoni mandando uno o due sms e poi rifiutare lo sguardo di chi per strada ci chiede aiuto in lacrime oppure evitando di partecipare alle attività di aiuto della nostra parrocchia, della nostra diocesi, del nostro convento credendo di aver già adempiuto ogni dovere con l’sms. La solidarietà, quella vera, del cristiano, che vuole mettere in pratica ciò che il Vangelo ci dice ogni domenica e ogni volta che leggiamo una sua pagina, pretende che oltre al valore monetario dell’obolo, seppur importante, ci sia molto altro. C’è bisogno della partecipazione, della misericordia, della carità, dell’incontro, della sofferenza, della necessità di non scartare nessuno. Può essere solidale, può soccorrere, può essere d’aiuto anche chi non ha un soldo da dare. Inoltre vi è l’esigenza della rinuncia. Non si può fare solidarietà senza rinuncia. Come non poter tornare all’esempio del Buon Samaritano. Non è possibile parlare di solidarietà se non si ritorna alla pagine del Vangelo che ci raccontano quella storia. Oggi il Buon Samaritano come si sarebbe comportato ? Avrebbe anche lui mandato uno, due, dieci o cento sms di offerta e stop ? Oppure avrebbe fatto anche altro ? La risposta sta nel leggere con attenzione quel brano per capire che i soldi sono solo una parte del bisogno e, per giunta, neanche fondamentale. Il Buon Samaritano prima di tutto si ferma, rinuncia a proseguire nel suo cammino, si attarda, soccorre, si china e si cura materialmente le ferite. Si carica su di se il malcapitato, non lo giudica né passa oltre. In tutto questo non c’è bisogno di soldi. Lo porta al riparo, ne cura le ferite, lo affida al locandiere e si assume il costo di quella cura. Ecco, in questo c’è bisogno anche dei soldi. Questa è la vera carità evangelica. Il Buon Samaritano non ha preso il portafoglio e, tirati fuori i soldi, ha detto al povero fratello in difficoltà «Ecco, tieni l’obolo, fatti curare». No, ha fatto gesti chiari e inequivocabili. Chiediamoci, da cristiani, se un sms basti per assomigliare al Buon Samaritano, chiediamocelo in silenzio e con gli occhi rivolti al Vangelo. Dimentichiamoci del valore e del’utilità del solo denaro. Valutiamo, in questi giorni che ci accompagneranno al Natale, festa della Natività di Gesù, se oltre agli sms non ci sia dentro le nostre vite un piccolo spazio per il dialogo, per l’incontro, per l’ascolto, per la cura delle ferite di chi soffre. Forse ci si accorgerà che anche noi abbiamo nel profondo delle ferite che aspettano di essere curate.
(Damiano Serpi/Il Sismografo)

Chiesa cattolica svizzera

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