Il volto dell’Egitto dopo la visita di papa Francesco

«L’immagine preparata per accompagnare il viaggio di papa Francesco al Cairo ritraeva il Pontefice con le piramidi sullo sfondo e una colomba, simbolo della pace, nel cielo. In Egitto, dopo la visita, quell’immagine è stata sostituita da un’altra raffigurante san Francesco che abbraccia il Sultano e – nella parte inferiore – il Papa che abbraccia Ahmed Al Tayyeb, lo Sheykh dell’università di al-Azhar. La Dichiarazione comune firmata da Francesco e da papa Tawadros II, la celebrazione della più grande messa nella storia dell’Egitto moderno, trasmessa in diretta e seguita dall’intero mondo musulmano, sono grandi risultati, ma sono poca cosa se paragonati al cambiamento testimoniato dal passaggio dalla prima alla seconda immagine. I simboli della prima – l’abito bianco, la colomba, le piramidi – si sono trasformati, nella seconda, nell’abbraccio fra due persone: un’espressione di affetto. L’incontro tra san Francesco e il Sultano, che tutti in Egitto conoscono, non è più un fatto storico staccato dall’esistenza quotidiana: è tornato ad essere vivo e presente, ad avere una dimensione reale nella vita dei cittadini egiziani». Con queste parole inizia a descrivere il volto dell’Egitto odierno il professor Wael Farouq: egiziano di fede islamica, autore di numerosi saggi sul pensiero musulmano contemporaneo, è docente di lingua araba all’Università Cattolica di Milano; ha inoltre insegnato nell’Università Americana del Cairo e in quella di New York.

Un Papa amato

A proposito della visita di papa Francesco al Cairo, padre Giuseppe Scattolin – comboniano, docente di mistica islamica al Pisai di Roma e all’Istituto Dar Comboni del Cairo – osserva: «Il viaggio del Pontefice ha avuto un’eco molto positiva sulla stampa locale; Francesco è amato dal popolo egiziano. L’incontro tra i massimi rappresentanti del cristianesimo e dell’islam sunnita è stato un evento di enorme rilevanza: ha mostrato al popolo che i leader religiosi si incontrano, si accolgono, si stimano e ciò favorirà atteggiamenti di benevolenza reciproca tra cristiani e musulmani incoraggiando maggiore cooperazione tra loro. Il ripudio della violenza compiuta in nome di Dio – espresso dai leader religiosi presenti al congresso sulla pace promosso da al-Azhar – è un fatto importantissimo vista l’esistenza di movimenti fondamentalisti che si arrogano il diritto di interpretare l’islam e cercano di influenzare le masse musulmane con la loro propaganda».

Le conseguenze della visita a breve termine

Per descrivere le conseguenze a breve termine che la visita di papa Francesco ha avuto sul popolo egiziano, il professor Farouq cita due fatti che ritiene emblematici: il direttore della biblioteca di Alessandria ha chiesto che il testo del discorso tenuto da papa Francesco ad al-Ahzar sia insegnato nella scuola pubblica. Inoltre, «per la prima volta un imam che predica in televisione è stato denunciato e portato in tribunale per aver dichiarato che i cristiani sono infedeli. Questo episodio mostra un cambiamento in atto nelle persone, incluse quelle musulmane, che hanno sporto denuncia».

E quelle a lungo termine

Riflettendo sulle conseguenze a lungo termine, il professor Farouq sottolinea l’importanza dell’incontro tra la Chiesa di Costantinopoli, quella di Alessandria e quella di Roma avvenuto in una terra dove i cristiani patiscono il martirio. «Francesco, in Egitto, non ha discusso di teologia musulmana, ha portato una testimonianza. Nel mio Paese molti pregiudizi sono caduti perché il Papa ha testimoniato l’unità: Francesco, il patriarca ortodosso Bartolomeo, e il patriarca copto ortodosso Tawadros II si sono incontrati come amici. L’unità dei cristiani si è mostrata ai leader musulmani: è stata una testimonianza di grande rilievo, la dimostrazione del potere dell’amicizia vera fra le persone. Questo incontro tra le Chiese cristiane ha avuto molto da dire a tutti i musulmani; ha sostenuto e incoraggiato la fiducia e la speranza che l’unità, l’amicizia, siano possibili. Per questa ragione penso che il futuro ci riserverà molte sorprese, legate a un cambiamento del cuore delle singole persone».

L’importanza delle scuole

Pensando al futuro dell’Egitto padre Scattolin auspica che il ripudio della violenza fatta in nome di Dio, espresso ad al-Azhar, riesca a diventare pensiero condiviso, a plasmare la mentalità corrente. Questo è il nocciolo della questione, dice: «Condannare il ricorso alla violenza è indispensabile, ma potrebbe non essere sufficiente per fronteggiare la propaganda fondamentalista. Perciò, a mio giudizio, occorre agire parallelamente su più fronti. Occorre sostenere l’istituzione scolastica: è nelle scuole che i giovani imparano a vivere e cooperare in amicizia e in armonia tra loro. Ad esempio, noi cristiani in Egitto abbiamo 170 scuole, che hanno in media 1.000 studenti ciascuna: sono un laboratorio di pace e buona convivenza. Un secondo fronte su cui impegnarsi è il dialogo interreligioso, un dialogo che porti all’approfondimento dei quattro valori fondamentali comuni all’ebraismo, al cristianesimo e all’islam: misericordia, verità, giustizia e pace».

Una rivoluzione culturale

Soprattutto, a giudizio di padre Scattolin, è necessario impegnarsi a livello culturale: «L’islam ha una lunghissima storia, che è fatta anche di violenza, soprusi, guerre di conquista. Dico sempre che nessuno è innocente nella storia: abbiamo tutti commesso violenze». I successori di Pietro non sono stati reticenti nel riconoscere le ombre che gravano sul passato del cristianesimo, domandando umilmente perdono e invitando a purificare la memoria. Secondo padre Scattolin «sarebbe opportuno che gli intellettuali musulmani si impegnassero maggiormente in una lettura critica, e non solo apologetica, della storia islamica (che implica anche una nuova esegesi dei testi fondanti) riconoscendo e prendendo distanza dalla violenza che è stata commessa: ciò favorirebbe un mutamento della mentalità. Molti musulmani, ben disposti verso i cristiani, non sanno come replicare ai fondamentalisti che propongono detti del Corano che sembrano incoraggiare la violenza. A mio giudizio, è tempo di una rivoluzione culturale. Questo lavoro – indispensabile – è già cominciato, diversi intellettuali vi si dedicano, tuttavia non è ancora diffuso nel mondo culturale egiziano».

L’invito al mondo accademico

Di qui, il duplice invito di padre Scattolin: il primo ai giovani ricercatori musulmani residenti in Italia e ai fratelli copti in Egitto a impegnarsi su questo fronte; il secondo rivolto alla classe intellettuale europea affinché onori la tradizione del pensiero occidentale evitando di tacciare di islamofobia chiunque nelle università avanzi critiche ben argomentate e fondate sulla storia islamica. «Mitizzare la storia, propria o altrui, è sempre un errore. Faccio parte – e sono l’unico cristiano – della Società Filosofica Egiziana: in questa sede ho presentato le mie ricerche contraddicendo in parte interpretazioni del sufismo, della mistica islamica, ma i musulmani non si sono risentiti, mi hanno sempre trattato con rispetto e simpatia».

Il ruolo degli intellettuali

Secondo il professor Farouq, papa Francesco – rammentando a tutti l’importanza dell’Egitto per le tre grandi religioni (ebraismo, cristianesimo e islam), ricordando l’accoglienza data alla Sacra famiglia – «ha consentito agli egiziani di riscoprire la bellezza di queste pagine della loro storia favorendo un modo diverso, più profondo, di concepire le relazioni tra cristiani e musulmani. Quanto alla classe intellettuale musulmana, penso debba trovare la propria strada per uscire dalla crisi in cui si trova, una crisi che riguarda l’uso critico della ragione, e che nasce dall’incontro fra una tradizione che ha dimenticato le origini e la modernità. Sono persuaso che la testimonianza di fede e i gesti di amicizia e di pace di papa Francesco non possano che essere d’aiuto. Indicano la strada da percorrere».

La buona convivenza

Nella società egiziana, prosegue padre Scattolin, vi sono molti segni di buona convivenza tra cristiani e musulmani: i fedeli di entrambe le religioni lavorano insieme e cooperano già in diversi campi, da quello educativo a quello sanitario a quello sociale. Osserva al riguardo il professor Farouq: «Nonostante decenni di propaganda contro i cristiani – nata alla fine degli anni Settanta del Novecento, quando milioni di egiziani emigrarono verso i Paesi del Golfo (società uniformi che non conoscevano il pluralismo religioso e non lo accettavano) e il presidente Anwar al-Sadat concesse spazi pubblici agli islamisti – gli egiziani hanno saputo riscoprire la propria unità in piazza Tahrir, nel 2011. La rivoluzione ha creato uno spazio di incontro fra il musulmano, cui si era tentato di far dimenticare l’amore e una secolare convivenza, e il cristiano, che si era rassegnato a emigrare o a isolarsi dal mondo, rinchiudendosi dentro le mura della sua chiesa nel suo stesso Paese. Tanti egiziani, malgrado le stragi dei terroristi, stanno riscoprendo il bene dell’unità».

Gli attentati alle chiese copte

In Egitto i copti – che pagano anche con la vita il loro limpido attaccamento a Cristo, continuano ad affollare le chiese nonostante il rischio di attentati e non reagiscono al male con il male – testimoniano in modo inequivocabile che il cristianesimo rifiuta la violenza, osserva padre Scattolin: «Questo atteggiamento influisce sui musulmani, facendo loro comprendere che i copti non sono nemici, come sostengono i fondamentalisti, il cui operato – a mio avviso – non ha primariamente una valenza anti-cristiana: il loro obiettivo è la conquista del potere».

Dopo gli attacchi compiuti a Tanta e ad Alessandria nella domenica delle Palme, il 9 aprile scorso – ricorda il professor Farouq – i cristiani hanno celebrato sui social network i poliziotti – tutti musulmani – uccisi mentre proteggevano la messa celebrata da papa Tawadros, che era l’obiettivo principale degli attacchi. «Molti musulmani sono accorsi per donare sangue, hanno aperto le porte delle moschee per curare i feriti e hanno pianto calde lacrime mentre estraevano i feriti dalle chiese. La loro umanità ha prevalso sulla propaganda d’odio. Musulmani e cristiani sono rimasti insieme, in ospedale, in moschea, in chiesa».

La ricchezza della diversità

A giudizio del professor Farouq le persone autenticamente religiose che vivono e lavorano insieme nella concordia possono testimoniare al mondo che la diversità è preziosa. «Francesco ha mostrato quale ricchezza sia la diversità. Le società nelle quali è valorizzata la differenza hanno maggior possibilità di fiorire; dove ciò non accade, prevale la logica della violenza. La coesistenza di diverse componenti nella società non è un valore solo per i cristiani, ma anche per i musulmani. La conoscenza e il rispetto dell’altro, del diverso, giova anche all’esperienza religiosa. Infatti, l’incontro, l’amicizia, il rispetto nutrono l’esperienza religiosa, perché permettono a ciascuno di verificare la propria tradizione».

Monoteismo e violenza

Purtroppo nella cultura occidentale contemporanea, tiene a sottolineare padre Scattolin, il monoteismo – che è stato per lungo tempo ritenuto la forma più evoluta della religione, il modo di concepire il divino più coerente con i principi della ragione – «è considerato in modo diverso: ora appare dispotico e violento e si propaganda disinvoltamente il rapporto intrinseco tra violenza e religioni monoteiste. In Occidente alcuni intellettuali sostengono che le guerre siano state causate in larghissima misura dai monoteismi. È falso. La realtà è che nessuno è innocente nella storia. Quanti sostengono questa visione negativa del monoteismo mostrano di non conoscere la storia e, pur andando fieri del pensiero critico occidentale, si dimostrano completamente acritici nei riguardi della religione».

(Cristina Uguccioni / Vatican Insider)

11 Luglio 2017 | 09:06
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