Chiesa

I vescovi di Aleppo rapiti non sono nelle mani dell’Isis

I due vescovi di Aleppo rapiti più di quattro anni fa non sono nelle mani dell’Isis. A sostenerlo è stato ieri sera in un discorso televisivo il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, rivelando che della loro sorte si è parlato durante le trattative che hanno portato al cessate il fuoco sulle montagne del Qalamoun, la religione montagnosa al confine tra la Siria e il Libano. Proprio le notizie su una serie di rapimenti è stata infatti la contropartita che il movimento sciita libanese ha chiesto agli emissari del sedicente Califfato in cambio del lasciapassare che ha permesso ad alcune centinaia di miliziani di abbandonare l’area e raggiungere – con le loro famiglie, scortati dall’esercito siriano – la città di Deir ez Zor, una delle ultime roccaforti nelle mani degli uomini con le bandiere nere.

 

L’attenzione in Libano era puntata soprattutto sulla sorte di un gruppo di propri soldati rapiti nell’area di Arsal nell’agosto 2014, quando le forze jihadiste avevano assunto il controllo della zona. Sedici erano stati liberati nel dicembre 2015, nell’ambito di uno scambio di prigionieri tra il governo di Beirut e il Fronte al Nusra. Ora l’Isis ha indicato a Hezbollah i luoghi dove altri otto soldati del gruppo sono stati sepolti e sono in corso le verifiche sui resti ritrovati. Nasrallah ha però rivelato che nella trattativa sono state chieste notizie anche sui due vescovi di Aleppo – il siro ortodosso Mar Gregorios Yohanna Ibrahim e il greco ortodosso Boulos Yazigi, rapiti il 22 aprile 2013 – e sul cameraman libanese Samir Kassab, rapito nell’ottobre dello stesso anno. «Per entrambi i casi – ha raccontato il leader di Hezbollah – lo Stato Islamico ci ha risposto di non saperne nulla». 

 

In effetti i due presuli vennero rapiti molto più a nord, nella zona tra Aleppo e il confine con la Turchia, probabilmente mentre andavano a negoziare per il rilascio di altre persone sequestrate. È dunque più verosimile che il loro sequestro sia stato gestito dalle milizie vicine al Fronte al Nusra, tuttora forti nell’area di Idlib in Siria. Il fatto che Nasrallah abbia voluto espressamente citare il caso dei vescovi di Aleppo probabilmente ha anche un significato politico rispetto agli equilibri interni a un Paese come il Libano. Il contesto era infatti quello di un discorso in cui il leader di Hezbollah ha rivendicato la vittoria sull’Isis come una «seconda liberazione» del Paese, ottenuta dal proprio movimento e non dall’esercito regolare.

 

Al di là di questo, però, resta il fatto che con la caduta dell’Isis in Siria, torna in primo piano la questione della sorte degli ostaggi di cui non si hanno notizie da anni. Per il caso dei due vescovi – per i quali ancora nell’aprile scorso, nel quarto anniversario della scomparsa, i due rispettivi patriarchi Mar Ignatios Aphrem II e Yohanna X lamentavano l’abbandono «in un destino ancora oscuro» –la chiave per conoscere la loro sorte si trova probabilmente in Turchia. Nei primi mesi del rapimento erano circolate addirittura testimonianze secondo cui i due presuli sarebbero stati visti al di là del confine, in territorio turco. Vero o falso che fosse è improbabile che le milizie sostenute da Ankara nel nord della Siria non sappiano nulla di come sia andata a finire la vicenda.

 

Diverso, invece, il caso di padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita romano scomparso a Raqqa il 29 luglio di quello stesso 2013. Fin dall’inizio il suo rapimento venne infatti attribuito da fonti locali proprio alle milizie legate ad al Baghdadi. E oggi che anche a Raqqa l’Isis – pressata dall’avanzata delle milizie curde, col sostegno aereo dagli americani – pare avere i giorni contati, potrebbe avvicinarsi l’ora della verità anche sulla sorte di padre Dall’Oglio.

Giorgio Bernardelli – VaticanInsider

30 Agosto 2017 | 12:00
Tempo di lettura: ca. 2 min.
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